Eccoci qui, mentre si profilano aperture graduate e siamo alle prese con le vaccinazioni, con tre proposte di lettura che ci possono utilmente, e piacevolmente, accompagnare.
Il bel romanzo di Amanda Craig, Le circostanze, Astoria 2019, mette in presa diretta coi problemi di oggi, visti nella campagna inglese e nella città di Londra: precarietà, difficoltà economiche, crisi matrimoniali, lavoro in fabbrica, rapporti con altre culture, in un affresco acuto e godibile, tenuto insieme da una coppia di protagonisti, con una folla di personaggi diversi e con un intreccio da romanzo giallo.
Ben scritto e portatore di un messaggio di fiducia anche il romanzo di Anna Hope, Le nostre speranze, Ponte alle Grazie 2021: la storia dell’amicizia tra tre giovani donne, nata a Londra negli anni Novanta del secolo scorso; le seguiamo tra presente, passato e futuro nei loro sogni e progetti, nella ricerca della strada più autentica da seguire per ciascuna, e anche di una maternità fortemente voluta.
Profonda e sempre più apprezzata nel tempo la voce poetica di Antonia Pozzi, riproposta in Parole – Tutte le poesie, Ancora editrice, Milano 2015. Questa edizione dei suoi testi, curata da Graziella Bernabò e Onorina Dino, proviene un lavoro filologico accurato e da una ricerca appassionata delle sorgenti poetiche dell’opera.
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Amanda Craig
Le circostanze
2019, Astoria, Milano
Tra Me too e Brexit e non solo
Definito un romanzo tra il me too e la brexit, in realtà Le circostanze non si presta a nessuna facile definizione per la ricchezza dei motivi che affronta e per il modo in cui intreccia aspetti sociali e individuali e mescola realismo e suspense. La crisi matrimoniale della coppia protagonista, anche se determinata dalle infedeltà di lui, assume le caratteristiche peculiari del contesto storico sociale in cui avviene, proprio non solo dell’Inghilterra, ma dell’intero mondo globalizzato. Così Lottie rigorosa e responsabile e Quentin infedele di fascino, padre amoroso delle figlie, due tipici rappresentanti della classe media (giornalista lui, architetta lei, professioni che diventano “stili di vita”) vissuti in situazione di agio e privilegio si trovano improvvisamente disoccupati.
Crisi matrimoniali ai tempi della globalizzazione
In una società in cui conflitti e disuguaglianze sono pervasivi, che non dà più garanzie, i due sono proiettati nella dimensione della nuova povertà, che non è miseria ma mancanza di denaro e di prospettive e rinuncia a ciò che si dava per scontato. Sembra compiersi nel postmoderno la parabola della borghesia dall’ascesa sociale verso l’alto a quella verso il basso; classe in crescita e vincente in epoca vittoriana ora frustrata e in crisi identitaria, ma ora come allora il denaro è un potente deus ex machina anche per la parabola dei sentimenti.
Le “circostanze” son quelle esterne e interne alla loro relazione che costringono i Bredin a scelte drastiche. Non ci sono soldi, e i Bredin non possono permettersi di divorziare è l’incipit. Lottie decide di affittare per un anno la casa di Londra e di trasferirsi nel Devon in un paesino in cui la bellezza rurale (pascoli verdi, mare vicino ) convive con la povertà di stimoli. Il contrasto città campagna è centrale nel libro.
Città e campagna
Londra all’inizio è il mito, la terra promessa, il luogo dell’eccitazione dell’intelletto. La campagna dell’Inghilterra profonda è quella del razzismo verso i diversi e gli stranieri (qui polacchi) che accettano paghe inferiori e lavorano di più nell’unica fabbrica che prospera sulla richiesta di cibi preconfezionati. La fabbrica è luogo di rinnovato sfruttamento, come era in età vittoriana, in clima di deregulation e eccesso di mano d’opera. In campagna un micidiale mix di diffidenza, rancore e sfiducia, miccia di tutti i sovranismi, portano gli abitanti a votare Brexit nella convinzione che solo un ritorno alle tradizioni e a un glorioso isolamento possano salvare il paese. Tuttavia queste persone spesso sono oneste e anche generose, solo si sentono prive di rappresentanza e di riconoscimento.
I torti di tutti e le ragioni di ognuno
Craig è imparziale e onnisciente: di ogni personaggio dà motivazioni e punto di vista, senza prendere posizione. Crescono nel corso del libro il personaggio di Sally l’ostetrica, di Xan (figlio di colore di Lottie, frutto dell’avventura giovanile di una notte), entrano in scena Janet ( domestica dei Bredin) e la figlia Down con un ruolo via via più centrale. Lo scioglimento del mistero nefasto che aleggia sulla fattoria avrà una funzione catartica per i personaggi.
La casa liberata dai suoi fantasmi è la metafora di una crescita interiore. Lottie che ha ritrovato il lavoro si rende conto di aver cambiato la sua scala di valori, di sentirsi ormai distaccata dal mito londinese e di amare la campagna. Trova un equilibrio tra il trasporto che prova ancora per il marito e l’odio rabbioso che le ispira.
Divorzieranno e se Quentin vuole restare con lei dovrà meritarlo giorno dopo giorno.
Ma anche Quentin è maturato nel confronto aspro con Lottie che scopre di amare ancora e con la morte del padre: accetterà la sfida. Amanda Craig racconta una storia di oggi tenendo insieme con sapienza la ricchezza dei motivi e dei punti di vista, creando personaggi plausibili e realistici, con una fluidità che dosa digressioni, dialoghi e azioni proprio come facevano i grandi vittoriani da lei amati.
Marilena Salvarezza
Anna Hope
Le nostre speranze
Ponte alle Grazie 2021, traduzione di Michele Piumini
Dedicato a Bridie, la sua bambina, Le nostre speranze è la storia di una amicizia nata nella Londra degli anni Novanta del Novecento, è la storia dei sogni di tre giovani donne, ma è soprattutto la storia una maternità fortemente voluta, conosciuta da Anna Hope solo dopo i quarant’anni.
Lissa, Cate, Hannah: un’amicizia ricordata nelle tappe della loro vita, quando vorrebbero fermare il tempo, come nella luce meravigliosa di un pomeriggio di maggio, nel 2004. Hanno quasi trent’anni, sono piene di speranze e di opportunità da cogliere. A London Fields, sedute nel parco vicino alla casa che condividono si sentono felici: hanno ancora tempo per diventare quelle che saranno.
Il racconto a tre voci le segue, tra il presente e il passato che si alternano, con ricordi narrativi che fanno conoscere i loro anni all’Università, le loro lotte, le loro delusioni, le loro speranze, le loro conquiste.
Lissa, troverà porte chiuse nel mondo del teatro, ma ha un’anima colorata che la aiuterà a riconoscere la sua strada, dopo un lungo biglietto di andata e ritorno per il Messico.
Cate si sente piena di voragini nelle quali tutti possono curiosare e frugare, giudicando il caos che vi trovano dentro. Ma darà una svolta alla sua vita, pedalando su per la collina: c’è chi la aspetta, al lavoro. C’è chi la aspetta, a casa.
Hanna, ha una buona posizione, ha fatto un buon matrimonio, più volte però prova un dolore affilato come un rasoio. Ma diventerà un’effervescenza nel sangue, staffilate di gioia.
Le tre protagoniste, Lissa, Cate e Hanna sono tre aspetti della stessa Anna Hope. Non è un caso che i nomi di Hanna e dell’autrice coincidano.
Il romanzo è un libro di speranze, positivo.
A volte l’elenco delle loro preoccupazioni sembra infinito, ma altrettanto lungo è l’elenco delle cose per cui sono riconoscenti: le piccole fortune, che non sembrano più così piccole.
Anna Hope
Scrittrice inglese, nata a Manchester nel 1974, Anna ben conosce il teatro, sia nei giochi con le sorelle, quando mettevano in scena brevi commedie, sia nei suoi ruoli teatrali e televisivi.
Esperta di scrittura creativa, ha dato voce a più romanzi al femminile.
Le nostre speranze non si rivolge solo al pubblico femminile della sua età: le protagoniste sono diventate le cinquantenni di oggi – un target onnipresente nei rotocalchi femminili -, ma rimangono incantate fasce di lettrici e lettori di generazioni diverse. Grazie anche all’ottima traduzione di Michele Piumini, che usa bene le parole, che conosce bene la sensibilità femminile.
Lucia Castelli
Antonia Pozzi
Parole tutte le poesie
Ancora editrice, Milano, 2015
Canto selvaggio
Dapprima ignorata, la poesia di Antonia Pozzi sta ricevendo negli ultimi anni il meritato interesse. Questa edizione, curata da Graziella Bernabò e Onorina Dino, è frutto di un lavoro filologico accurato e di una appassionato scavo delle sorgenti poetiche dell’opera.
Visto da alcuni solo come diario di una vita, il lavoro di Antonia Pozzi ha una forza poetica autonoma che va ben al di là di una semplice effusione di sentimenti.
Marchiata come espressione di un disordine emotivo dai suoi primi critici che pure le erano amici (Montale, Sereni, Banfi), si è liberata con fatica da questo pregiudizio.
Antonia inizia a scrivere poesie appena diciassettenne, già con una stupefacente maturità e continua fino alla fine della sua breve, intensissima vita conclusasi per scelta propria a ventisei anni.
Nata in un ambiente colto e privilegiato nel 1912, gode di alcune libertà della sua classe sociale (viaggi, istruzione) ma subisce anche gli interdetti che il padre scaglia sulle sue scelte amorose.
Il dramma storico della prima guerra mondiale e poi del fascismo e delle leggi razziali, la scoperta del mondo dei poveri e degli emarginati, contribuiscono all’evoluzione dolorosa della sua poesia. Ma fin dagli inizi essa è attraversata da un fondamentale scacco: l’infinità dell’anima e il limite che anche le parole rappresentano.
Al cuore della solitudine essenziale di Antonia Pozzi c’è la smisuratezza di un ‘anima che non può ridimensionarsi, nell’eccesso di vita e di dono di sé che ripropone anche nelle poesie d’amore. L’inesausta volontà di trascendenza non si identifica con un credo religioso ma in una ricerca di “altrove” per dirla con la filosofa Zambrano che nessuna vita può soddisfare.
Solitudine
Accettare di essere poeta, sostenere questa lotta immane tra anima e parole, non significa rifiutare la vita ma andare oltre la dimensione quotidiana dell’esistenza.
Vivere nella verità della poesia significa avvicinarsi all’essenza della realtà attraverso la totalità dell’esperienza; se la poesia è catarsi del dolore, la morte è catarsi della vita: per realizzarsi bisogna morire. Cade man mano in Antonia l’illusione di una “corrispondenza” piena con le altre creature e si compie il suo destino di solitudine. Resta la nostalgia malinconica per ogni cosa che si trasfigura nell’assoluto e non è più.
Non monti, anime di monti
Nella poesia di Antonia Pozzi c’è anche un profondo senso di appartenenza e quasi di identificazione con la natura che avviene con la metamorfosi dell’umano in naturale e viceversa.
I paesaggi sono disegnati dall’anima anzi sono anima, ma perché lo siano devono essere percepiti con un’attenzione profonda anche ai dettagli, con una precisione di linguaggio e di definizione.
L’attenzione amorosa alle cose di cui parlava Simone Weil è presente anche in Antonia Pozzi: le cose (e in primis la natura) entrano nell’interiorità ed escono trasformate dal vissuto in poesia.
Realismo e trasfigurazione coesistono, nell’oscillare continuo tra mondo interno e mondo esterno, soprattutto in tutti gli elementi naturali (dal firmamento ai paesaggi, ai fiori e ai frutti, alle stagioni, agli elementi naturali, agli animali) così le sue amate Dolomiti “Non monti, anime di monti sono/queste pallide guglie, irrigidite/in volontà d’ascesa […] “
Periferia
Ma Antonia Pozzi è anche creatura urbana, così molte poesie sono dedicate alla città, o meglio alle periferie dove essa cede alla campagna e si mostrano povertà e alienazione, nel rosso delle fornaci, nello stridore di treni notturni. Costante è il rapporto con il mondo moderno e industriale.
La città sono i cocci, i fiori terrosi quasi mineralizzati dove sosta l’ultimo lampione, sono gli scheletri di case non finite, del lavoro, delle relazioni. Così anche le periferie diventano epifania del suo pellegrinaggio esistenziale.
Odor di verde
Spesso nelle poesie di Antonia Pozzi tornano temi e figure ma sempre in forma nuova. Tornano parole chiave con nuove ombre e sfumature (crepuscolo, sera, sonno, disperazione) che acquistano un significato fatale.
Parole dense e polisemantiche, rimandi continui, grande ricchezza di figure di suono e significato: allitterazioni, assonanze, sinestesie, personificazioni, ossimori sono la sua cifra stilistica.
L’indicibile di un’anima in cerca di assoluto trova una grammatica e una sintassi nuova del linguaggio poetico. Linguaggio che sa esprimere quella identità di emozione e pensiero che va oltre una sterile razionalità.
E’ la ragione poetica di cui parla la Zambrano che fonde la chiarezza del linguaggio filosofico e l’evocatività della poesia.
Leggere Antonia Pozzi inevitabilmente diventa parte del proprio cammino esistenziale.
Marilena Salvarezza