Eccoci con un saggio femminista appena tradotto in italiano, un romanzo fresco di stampa e un testo classico che non cessa di stimolarci. Il saggio di Judy Grahn, “Il Sangue, il Pane e le Rose”, pubblicato in inglese nel 1993, viene ora tradotto in italiano da Luisa Vicinelli, Effigi, 2020: é una riflessione che modifica per sempre, e per molti aspetti capovolge, il modo corrente di pensare e di vivere le mestruazioni, come evento personale e come elemento antropologico e culturale di grande portata simbolica.

Il libro di Assia Djebar, “Donne d’Algeri nei loro appartamenti” (Giunti, Firenze, 1988) é un classico oggi più che mai attuale per le sue riflessioni sulla storia e sulle donne algerine, e sulla funzione della lingua: su questa autrice lavora intensamente il nostro attuale gruppo di lettura.

Daniela Piu, di cui abbiamo già letto e recensito “Esse di seta”, propone un secondo romanzo: “Tre ritratti” (Le Càriti editore, 20209), che ripropone con gradevole efficacia narrativa i temi dell’omosessualità e delle molestie nel mondo cinematografico.

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Judy Grahn
“Il Sangue, il pane e le rose”
Testo originale inglese del 1993, traduzione italiana di Luisa Vicinelli, Effigi 2020

Copertina 1 (Grahn)Dopo aver letto questo libro, non si ha più lo stesso vissuto e rapporto (almeno concettuale) con le mestruazioni.
L’ingombro più o meno consapevole di vergogna, fastidio e sudiciume, e di pensieri negativi, che accompagna spesso questo evento biologico si allontana e si attenua, per lasciare il posto a una considerazione intensamente positiva: l’apporto delle mestruazioni e del complesso di riti, tabù e iniziazioni a esse connesso nel dare forma creativa alle diverse espressioni della cultura umana.
Del resto, spesso queste sensazioni e pensieri sgradevoli riguardo alle mestruazioni si accompagnano nelle donne e nelle ragazze a vissuti di potenza, fiducia, fertilità.
Mi hanno sempre colpito le frasi che Anna Frank esprime nel famoso diario riguardo alle sue prime mestruazioni: dolore, fastidio e sudiciume, ma anche la consapevolezza di conservare in sé un dolce segreto.
In un certo senso, questo libro è una rivoluzione copernicana, e capovolge molti pensieri, criteri e giudizi culturali che ci portiamo dietro.
Siamo invitate a considerare le restrizioni e le proibizioni che in molte culture accompagnano le mestruazioni come passaggi culturali che hanno comportato insegnamenti preziosi, e/o come tentativi di modellare e arginare lo straordinario potere (creativo e distruttivo insieme) che il corpo e la sessualità femminile portano con sé.
Le femmine di Homo sapiens hanno imparato e insegnato a nascondere il sangue mestruale per evitare che esso attirasse i predatori; i rifugi sugli alberi e le capanne in cui le ragazze venivano recluse – soprattutto in occasione del menarca – avevano anche questa funzione.
La consapevolezza del ciclo femminile – a volte sincronizzato tra le donne di una stessa comunità – e della sua connessione coi tempi e i cicli lunari ha dato idee essenziali sul tempo, sulla sua misura, sulla sua ricorrenza.
Detto questo, e assorbito il messaggio fondamentale di questo testo come una presa di coscienza irreversibile, restano alcuni dubbi. Certo il sangue femminile ha avuto un’importanza cruciale nella formazione delle culture umane: sia quello delle mestruazioni che quello delle deflorazioni e dei parti. E i sanguinamenti autoprovocati delle donne, connessi alle forme del lutto e alle incisioni dei cerimoniali iniziatici, vanno messi in relazione anche con le emissioni spontanee di sangue dei corpi femminili. Ma forse bisognerebbe considerare questo sanguinare anche in rapporto col non-sanguinare, che pure attraversa momenti fondamentali dell’esistenza femminile: nelle gravidanze, nell’infanzia e nella menopausa; o nell’assenza di mestruazioni connessa a particolari restrizioni alimentari, o patologie. E il ciclo femminile/lunare andrebbe forse considerato meglio in tutte le sue fasi: la luna “nera” della fase mestruale e la luna piena e splendente della sessualità e della creatività; e i momenti intermedi, “calanti e crescenti”.
In alcune pagine pare che l’autrice dia alle mestruazioni un’importanza così assoluta e onnicomprensiva da farne una chiave di interpretazione un po forzata; a volte i riferimenti antropologici, linguistici e storici appaiono inesatti e autoreferenziali.
Anche la spiegazione dell’affermazione del patriarcato, ipotizzata come “furto” e appropriazione maschile sulle potenze biologiche e culturali delle donne, per quanto stimolante, non convince del tutto: del resto, nessuna teoria univoca sulle origine del patriarcato pare oggi sufficiente.
Le barriere e i tabù messi intorno alle donne durante le mestruazioni sono solo espressioni del grande potere che esse hanno, nel bene come nel male, o non vengono anche, in determinati contesti, dalla volontà maschile di controllare e demonizzare la femminilità?
Il tema è ampio, le emozioni e i pensieri connessi a esso sono spesso ambivalenti. Questo libro contiene comunque messaggi importanti, che alimentano la discussione e la presa di coscienza.

Vi leggiamo pagine saggistiche di un’antropologia rivisitata e insieme racconti di autocoscienza personale, basate sui ricordi delle figure paterne e materne.
E così forse va considerato: come un contributo stimolante di riflessione teorica e insieme di autocoscienza, aperto e in fieri.

Vittoria Longoni


Daniela Piu
“Tre ritratti”
Le Càriti editore, 2020

Copertina 3 (Piu)Avvincente, appassionante e reale. Sono questi gli ingredienti principali del nuovo romanzo di Daniela Piu. Una narrativa che rende la lettura godibilissima e nello stesso tempo affronta sfaccettature della realtà che non sempre sono sotto i riflettori di tutti i racconti.

“Tre Ritratti” è un romanzo avvincente che racconta storie di vita, storie di vita ben radicata nella realtà storica dei nostri tempi e di quelli appena passati; storie di vita imprevedibili, reali e non banali che colgono di sorpresa il lettore per il loro sviluppo. Protagonisti che vivono ancorati nella realtà di oggi e di tempi passati, che si intrecciano con personaggi altrettanto reali e altrettanto imprevedibili.

La trama: due anziane sorelle leggono sul giornale la cronaca di una molestia sessuale sul luogo di lavoro, in particolare quella di Cristina, un’attrice che accusa il proprio produttore cinematografico. La notizia colpisce la loro attenzione perché la nipote, Emilia è amica di Cristina e ha appena firmato una collaborazione per un film proprio con quel produttore.
Si entra così nel mondo che circonda il cinema italiano. La protagonista ne sarà coinvolta al suo interno tra sogni e dure realtà. Ma molte altre storie sono narrate tra i vari intrecci.

Il romanzo cattura chi legge all’interno di una narrazione, come già accennavo, godibile e appassionante.
Quello che lo contraddistingue è la particolare aderenza ad alcuni aspetti del reale a cui spesso in molti romanzi non viene dato spazio o vengono tranquillamente omessi.
Il libro di Daniela invece li affronta in maniera delicata ma incisiva, in modo che il lettore possa trarre importanti spunti di riflessione anche dopo aver chiuso il testo.
Nelle vicende dei vari personaggi, si racconta di storie omosessuali nate e sviluppate nel più assoluto silenzio e segretezza, tra le trame della vita quotidiana. Storie importanti che lasciano segni importanti nei protagonisti. Ma non solo. Si parla di sogni e speranze. Si parla del cinema, quello italiano, tra l’imperante sessismo e gli ingenui sogni di chi ci bazzica dentro o ci gira intorno aspirando alla celebrità.
Un libro, un’esperienza di lettura che arricchisce e fa pensare e riflettere.

Serena Fuart


Assia Djebar
“Donne d’Algeri nei loro appartamenti”
Giunti, Firenze, 1988

Copertina 2 (Djebar)Sebbene sia un libro datato (scritto tra gli anni ‘50 e ‘70 del secolo scorso), non ha perso i suoi motivi d’interesse.

Si tratta di un insieme di narrazioni di donne diverse scritte in un periodo cruciale della storia algerina, gli anni che precedono, iniziano e concludono la guerra di liberazione contro la colonizzazione francese.
Sono voci polifoniche di donne che nella loro totalità compongono il tessuto vitale della nazione. Di estrazione, di istruzione e di età diverse, rappresentano alcune la forza della tradizione, altre la subalternità e la violenza subita, altre ancora la ricerca e l’affermazione di un’emancipazione vissuta affiancando gli uomini nella lotta.
Lo scopo dichiarato dell’autrice è proprio rendere protagoniste queste voci, affiancandole e non sostituendosi a loro.
Lingue di donne per fare la storia.
Il flusso impetuoso dell’oralità espressa nell’arabo corrente, si trasforma nel francese della ricerca letteraria.
La questione della lingua accompagna la complessa poetica di Assia Djebar; il francese è la lingua del colonizzatore, ma anche quella della personale emancipazione della scrittrice e la aiuta a prendere la necessaria “distanza narrativa” da una materia troppo incandescente.
La storia, l’altra presenza cruciale, entra nella vita quotidiana, scuote le coscienze, trasforma la percezione individuale e i destini di tutte/i, realizza o disillude le speranze.
Assia Djebar rifiuta ogni schematismo, ogni stereotipo sulle donne algerine (e diremmo delle donne in generale) che impediscono di vederle nella loro complessa realtà.
Visione stereotipa che, secondo Djebar, alberga spesso nel mondo occidentale e non risparmia le donne. Alcuni simboli come il velo assumono, ad esempio, un significato univoco di subalternità. Questioni ancora tutte aperte, in un paese che la liberazione non ha pacificato ma che anche sono presenti nella nostra riflessione.. .

Marilena Salvarezza