La storia e l’autobiografia si intrecciano felicemente nella narrativa delle autrici.
Non c’è modo più saporito e interessante di fare storia, di quello che “parte da sé”, o si interseca con il proprio vissuto.
Così ha fatto a suo tempo Fatema Mernissi, in ”La terrazza proibita, Vita nell’harem”, Giunti, Firenze, 1996, e così fa ora Giuliana Ponzio, in “Fotogrammi”, Luciana Tufani Editrice, 2020. E anche quando ci si misura con una ricerca storica ben situata nel passato, come fa Mariella Todaro in “Oroscopo per una monaca”, Luciana Tufani Editrice, 2020, la prospettiva dell’autrice è ben chiara, mentre ci racconta la vita di Elena Cassandra Tarabocchi in pieno Seicento, tra documenti d’epoca e gustosi inserti dialettali.
Continuate a mandarci i vostri contributi a librarsi@casadonnemilano.it. Saremmo felici di ospitare nella nostra rubrica anche due diverse minirecensioni per lo stesso libro o un dibattito tra lettrici o anche testi narrativi ispirati da uno dei libri proposti da noi. Buona salute e buone letture e scritture a tutte noi!
Fatema Mernissi
“La terrazza proibita, Vita nell’harem”
Giunti, Firenze, 1996
“Venni al mondo nel 1940 in un harem di Fez”.
L’incipit di “La terrazza proibita” contiene in nuce il libro intero. Lo situa nel tempo e nella storia, in un periodo drammatico per l’Europa con forti echi nell’Africa del Nord che si trova coinvolta in una guerra non sua.
Ci dice la città e il paese di nascita (Fez e il Marocco che fa parte di un’area più vasta, il Magreb, con caratteristiche comuni, a cominciare dalla colonizzazione, dei vari stati che lo compongono. Infine ci introduce nello spazio fisico, sociale e culturale cui è confinato l’universo femminile della sua epoca.
Fatema è femmina e nasce in un paese arabo di religione islamica dove vige una rigida separazione tra uomini e donne.
Alla sua voce autobiografica in cui soggetto e oggetto di ricerca coincidono, si intrecciano quelle delle donne dell’harem, quelle degli uomini, del popolo e della storia.
L’harem è un confine e insieme una dimensione mentale ed emotiva.
E’ il luogo dove lei bambina si pone le prime grandi domande e tenta di capire il proprio essere nel mondo e quello delle donne intorno a lei. Ma non ci son risposte semplici e lineari nella complessità della vita che scorre.
L’harem stesso è una realtà multiforme. Ben lontano dallo stereotipo immaginario degli occidentali, rinchiude le donne ma non ne impedisce una varietà di pensieri, comportamenti, convinzioni e azioni, all’interno delle due grandi categorie della tradizione e della modernità.
Le donne che difendono la tradizione pensano che essa sia l’unica fonte di certezza e verità, l’unico baluardo dell’identità culturale di un popolo; le fautrici della modernità invocano liberta d’istruzione e di scelta, altre ancora sono costrette al silenzio dalla loro posizione subalterna (vedove, divorziate, ripudiate).
La terrazza proibita, quella più alta della casa, è il simbolo di un’immaginazione e di un sogno di libertà che nessun limite può sopprimere.
I confini sono interni ed esterni e la Mernissi cresce cercando di oltrepassarli, alla conquista di una felicità individuale che anche le “prigioniere” dell’harem a modo loro perseguono.
Ed è proprio la forza della vita più che le ideologie contrapposte che modifica gli equilibri e apre nuove possibilità. La vita, l’impegno sociale e il lavoro di Fatema Mernissi sono volti alla ricerca di un femminismo che non distrugga le proprie radici e che ritrovi proprio nei testi sacri, reinterpretati, la sua ragion d’essere.
La terrazza proibita è un grande e vivace affresco della ricchezza del mondo femminile e degli intrecci tra mondo individuale e mondo della storia.
Marilena Salvarezza
Giuliana Ponzio
“Fotogrammi”
Luciana Tufani Editrice, 2020
Giuliana Ponzio è stata scrittrice di saggi prima che di romanzi.
In entrambi i casi la scrittura ha un ritmo piano e lieve, con toni umoristici mai caustici.
La sua prima prova narrativa è stata la raccolta Tra stomaco e cuore: dieci racconti brevi uscita nel 1999; a venti anni di distanza esce fresco di stampa Fotogrammi, pubblicato anche questo dall’editrice Luciana Tufani.
L’Autrice confessa di essersi divertita a scrivere questa storia un po’ autobiografica e un po’ fantasticata, che chiedeva da tempo di essere messa su carta.
Per sentirsi autorizzata e libera di farlo ha dovuto probabilmente attendere la morte di alcuni dei protagonisti reali.
Solo allora ha potuto aprire la pagina a ricordi e racconti ascoltati nell’infanzia aderendo ad un ‘vero’ mitico dei bambini piuttosto che solo al racconto ufficiale tramandato dagli adulti.
Si tratta di una saga dove tre famiglie incrociano le loro vicende e i loro destini dalla fine dell’800 alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Il racconto inizia a Torino, con la giovane Adele che “quella sera di un rigido marzo del 1897, lì, a cena dai Rosso, si stava annoiando da morire.”, e finisce nel 1946 a Pavia, dove si sviluppa e svolge gran parte della storia.
Le generazioni si susseguono attraverso le due guerre mondiali, la spagnola, il fascismo, la Resistenza.
E’ una scrittura gradevole e leggera costellata ogni tanto di frasi dialettali di proverbi e modi di dire pavesi.
L’A. illumina differenze di classe e prepotenza del patriarcato con poche righe, come quando descrive in modo fulminante la prima notte di nozze di Ester e conclude:
“Così lo stupro coniugale, mai pensato e mai nominato, passava via liscio e le giovani mogli si leccavano zitte le ferite. A Ester non era andata diversamente. Non ne aveva mai parlato con nessuno. Un orgoglio feroce mascherato di pudore le impediva qualunque possibile cenno al suo fallimento”.
Ester si separa e la figlia Lina crea problemi alla maestra: come può cantare nel coro delle giovani italiane la filastrocca natalizia che recita “mamma e papà angeli di bontà”? C’è la guerra, la fame, l’amore…. C’è la brutalità delle bombe o degli squadristi fascisti descritta quasi più nella distruzione di oggetti, vetri, mobili, cose collezionate nel tempo e poi distrutte in un attimo, più che nel sangue e nei morti che pure non mancano…. Le ultime pagine si fermano al 1946, quando la guerra è appena finita e se ne intravedono gli strascichi nella mente sconvolta dei e delle sopravvissute.
Piera Codognotto
Mariella Todaro
“Oroscopo per una monaca”
Luciana Tufani Editrice, 2020
Elena Cassandra Tarabotti nasce a Venezia nel 1604, prima di sette sorelle e quattro fratelli.
La famiglia tira avanti grazie al lavoro paterno – proprietario di una fabbrica di sublimati. All’età di 13 la rinchiudono in convento, contro la sua volontà. In quel convento, il monastero benedettino di Sant’Anna in Castello, trascorrerà il resto della vita.
Suor Arcangela, questo il nome che adotta all’atto della vestizione nel 1620, riuscirà a sopravvivere in quella sorta di penitenziario grazie alla sua capacità di riversare sulla pagina scritta l’angoscia, la disperazione, la collera impotente di chi vive prigioniera, condannata all’ergastolo perché colpevole di essere donna e affetta da una lieve zoppia – quindi difficilmente maritabile.
Ad Arcangela Tarabotti Mariella Todaro dedica uno studio di grande interesse, vincitore del premio della Giuria al concorso letterario Giovane Holden, “Oroscopo per una monaca”: un romanzo biografico che ci trasporta nella Venezia del ‘600, dove l’intrigo, la maldicenza, i complotti, le gelosie regnano incontrastati nella Repubblica veneta del tempo come in convento.
Le vicende narrate da Todaro hanno inizio nel 1633, quando Venezia è gravata dalla crisi economica e imperversa la peste – costerà la vita a un terzo della popolazione.
Suor Arcangela è malata, la colgono improvvise crisi di tosse convulsa e di soffocamento che la lasciano prostrata.
Deve intervenire un medico, che inorridito dalla cella senz’aria e senza luce nella quale vive la monaca impone di abbattere il muro che sigilla la minuscola finestra.
A costui suor Arcangela sarà debitrice non solo della propria salute ritrovata, ma anche del dono dell’oroscopo, che le verrà dato in omaggio e le darà la forza di reagire, prevedendo per lei insperati successi.
Poco alla volta Suor Arcangela comincia a scrivere. Le regole del convento sono rigidissime, le punizioni alla minima infrazione – è sufficiente essere sorprese a ridere mentre si fanno le ostie – sfiorano il sadismo: schiaffi, frustate, prigione nelle celle giù in cantina dove ti fanno soffrire il freddo, l’umido, la fame.
All’inizio suor Arcangela scrive di nascosto, poi, anche grazie alla protezione dell’autorevole Giovan Francesco Loredan, un patrizio protettore delle arti, scrittore, fondatore dell’Accademia degli Incogniti, Magistrato di Venezia, riuscirà a pubblicare i suoi scritti.
E scrivere, pubblicare, “quando ci si trova in una realtà infelice, intravvedere una via d’uscita può consentire la vita”. Fin dal titolo, i suoi libri non lasciano adito a dubbi: “Inferno monacale”, “La Semplicità ingannata o la Tirannia paterna”, “”Il Purgatorio delle malmaritate”.
Nei suoi scritti, illustra “l’ingiustizia dei padri sulle figliole”, fa emergere la realtà di tante fanciulle rinchiuse in convento che inconsapevolmente consentono “ai padri a ai fratelli di accrescere le proprie ricchezze” firmando davanti al notaio “la loro condanna a morte”: quando con l’illusione di riconquistare la libertà, rinunciano cioè a qualsiasi diritto alla propria quota di ricchezza, alla propria eredità.
E’ quanto accade a troppe giovani, è quanto è accaduto a lei: “piangiamo la servitù in che ci ritroviamo e gemiamo per la perduta libertà”, scrive suor Arcangela. Con il tempo ci si rassegna, ma il fatto di essersi arrese rende crudeli e si diviene “serpi, sotto le spoglie di religiose”.
I libri di suor Arcangela Tarabotti hanno successo, la sua fama aumenta e il parlatorio diviene una valvola di sfogo dove sia pure sorvegliata dalla monaca ascoltatrice, velata e nascosta dalle grate, può intrecciare rapporti e conversazioni con gli intellettuali e le dame dell’epoca.
Tuttavia “non si esce dall’Inferno”, scrive suor Arcangela. Nell’ “Inferno” rimarrà infatti fino alla morte, che la coglie il 28 febbraio 1652.
“Oroscopo per una monaca” è un libro insolito, originalissimo per l’alternarsi di dialetto e un italiano impeccabile, per l’intrecciarsi di vicende romanzate e brani degli scritti di suor Arcangela.
E dove non mancano suspense, eros e tocchi di autentica poesia.
Giulietta Rovera
A questo link : La recensione di “R3sistenze femminili”- La semplicità ingannata – Satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donna. Liberamente ispirato alle opere letterarie di Arcangela Tarabotti e alla vicenda delle Clarisse di Udine