Un’ennesima, intollerabile strage di vittime innocenti è avvenuta nella notte tra il sette e l’otto ottobre davanti all’isola di Lampedusa, come accadde nel terribile naufragio di tre anni fa. In mezzo ai flutti di un mare tanto bello quanto indifferente alle tragedie umane,  davanti agli occhi di un’Italia e di un’Europa ormai accecate e totalmente insensibili, sono scomparse tredici donne e quattro bambini. Non sappiamo ancora se sia questo il conto definitivo.

Mentre accadeva una sciagura che avrebbe dovuto scolpirsi nelle menti e nei cuori di ogni essere dotato di elementare umanità, e i media la riportavano tra i fatti del giorno, in questo Paese si parlava principalmente di poltrone. Politici, intellettuali, mass media di ogni tipo affollavano i salotti televisivi per discettare sul taglio dei parlamentari.

lampedusa

foto tratta da Il Manifesto on line

Insomma, la tragedia è restata un titolo fra i tanti. Da anni ormai una grigia maggioranza dai contorni imprecisati accetta con indifferenza l’inabissarsi di vite umane nel nostro mare, a poche miglia dalle bellissime spiagge del turismo isolano del nostro Sud. Per non parlare di chi addirittura si augura che “quelli là” scompaiano tutti.

Questa volta le vittime sono state principalmente donne e bambini. Nemmeno questo sembra aver scosso le coscienze. Muoiono donne che hanno avuto la forza e il coraggio di traversare inenarrabili vicissitudini, violenze e abusi, per fuggire dalle guerre, dalla fame, dai disastri climatici, cercando una vita migliore, com’è diritto di ogni persona. Diritto di muoversi, di spostarsi, di cambiare il proprio destino.

Donne che le nostre politiche insensate e disumane hanno costretto a viaggiare sui miserabili barchini e barconi gestiti dagli scafisti per la semplice ragione che non esiste nessun’altra via e nessun altro mezzo per giungere in Europa. Noi le rendiamo “clandestine” inventando una falsa categoria utile solo a costruire un alibi per le nostre ipocrisie, noi le abbiamo dunque messe in pericolo e non le abbiamo salvate dal naufragio e dalla morte. Ma avremmo potuto, avremmo dovuto.

Dicendo “noi” uso un artificio retorico. Non tutte le persone infatti stanno dentro quel noi. C’è chi per fortuna sta da tutta un’altra parte e continua a lottare per cambiare le politiche e difendere le vite. Parlo delle Ong, perseguitate dagli odiatori dell’umanità di cui abbiamo molti esempi nel mondo politico. Averle bloccate significa nei fatti aumentare il numero dei morti in mare per mancanza di tempestivo soccorso. Parlo di Carola Rackete, limpida e incrollabile davanti ai disgustosi attacchi di uomini “con il cuore pieno di vermi” come ha detto qualcuno.

Parlo di tanti gruppi antirazzisti e di tante associazioni di donne che mai hanno smesso di impegnarsi nella solidarietà con le persone migranti e con il sostegno ai loro diritti. La nostra Rete femminista No muri No recinti nasce da questo. Avevamo un sogno.

Nel 2016 lanciammo una petizione su Change.org recapitandola a tutte le parlamentari europee, nessuna esclusa, sperando e sognando che tutte o almeno la maggioranza di esse avessero il coraggio di unirsi in una forza comune per indurre il Parlamento europeo a cambiare le politiche sull’immigrazione.

Nell’appello firmato da 3.600 persone chiedemmo di consentire voli legali, corridoi umanitari, nuovi flussi regolari, protezione umanitaria in particolare per le donne e i minori. Volevamo impedire che le stragi si moltiplicassero. Volevamo politiche umane, non politiche di morte.

Nessuna parlamentare rispose. Solo il Gruppo confederale della sinistra europea prese in considerazione l’appello, ma la speranza che molte parlamentari avrebbero capito quanto occorresse un gesto forte e straordinario per evitare l’enorme precipizio di disumanità in cui l’Europa stava cadendo fu decisamente delusa.

Oggi, dopo anni di orrori e di stragi, dopo anni in cui l’Italia e l’Europa a suon di miliardi hanno cinicamente appaltato alla Libia il ruolo di gendarme delle nostre frontiere e di aguzzino dei migranti, oggi che secondo i dati dell’Oim il numero di morti confermate nel 2019 lungo le tre rotte migratorie del Mediterraneo è di almeno 994 uomini, donne e bambini, ci chiediamo se ormai si sia definitivamente imposta la necropolitica di cui si parlò l’anno scorso al Tribunale permanente dei Popoli, sessione di Barcellona, e se lo spazio europeo si sia ormai davvero trasformato in uno spazio del No Diritto.

Ecco allora l’inevitabile domanda. Possiamo/dobbiamo riprendere parola per contribuire a demistificare le orribili bugie dei governi, e per dire che è insopportabile sentir parlare di tagli di poltrone come se fosse un obiettivo vitale, mentre donne e bambini annegano davanti a noi?

Lo so che in questa fase della nostra storia tutto sembrerebbe inutile e velleitario, ma resta sempre qualcosa che si ribella al silenzio e all’impotenza. Di fronte alla guerra contro l’umanità che si sta diffondendo ovunque, dagli Stati Uniti al Brasile, alla Siria, all’Africa, all’Europa, abbiamo però anche tanti esempi di comunità di base, spesso costituite da donne, che stanno intraprendendo un cammino diverso e ci danno speranza.

Perché allora non riprendere quel sogno, rilanciare l’appello e se un appello non basta chiedere a tutte le associazioni di donne un grande incontro europeo per denunciare le politiche di morte contro il popolo migrante?

Forse questo è il momento di fare il possibile e anche l’impossibile.

Floriana Lipparini
(Rete femminista No muri No recinti)