di Valeria P. Babini
(La Tartaruga, 2018)
Nel suo saggio Babini fa emergere in viva voce numerose scrittrici e giornaliste italiane (De Cespedes, Cialente, Garofalo, Banti, Bellonci, Ferro, Masini, Ginzburg e altre), fortemente impegnate durante la seconda guerra mondiale e nel dopoguerra. L’autrice ha intitolato il testo “Parole armate” proprio per evidenziare che le loro parole sono “un’arma” potente nella lotta di liberazione e in quella successiva per l’emancipazione delle donne. Alcune di loro (De Cespedes, Cialente) conducono trasmissioni radio dirette a tutti gli italiani, uomini e donne, perché si rivolgono a tutta la popolazione, potenziale portatrice di una nuova civiltà che deve sorgere dalla barbarie della guerra. Dopo la guerra queste autrici continuano la battaglia in favore delle donne che conquistano sì il voto ma in un clima generale di arretramento culturale. Al tentativo di relegare nuovamente le donne al “loro posto” queste scrittrici impegnate lanciano un grido di dolore e rifiuto. In alcuni casi l’impossibilità di comunicazione con l’altro sesso che è insieme privata e sociale, porta a un estremismo simbolico anche nella scrittura: in “Dalla parte di lei” della De Cespedes e in “E’ stato così” della Ginzburg le protagoniste uccidono i loro mariti, non peggiori di altri, ma incapaci di comprendere i loro sentimenti e bisogni. La disillusione sostituisce la speranza. “Parole armate” ricostruisce questa pagina di storia ancora poco nota, e il ruolo che hanno svolto queste donne, continuando a combattere usando la scrittura come arma capace di calarsi fin dentro la relazione tra i due sessi. Perché la Letteratura “arriva prima” della Storia.