di Grazia Longoni.
È stato molto partecipato l’incontro alla Casa delle Donne venerdì 6 novembre, ovviamente online dato che era il primo giorno di Milano in “zona rossa”. Era con noi Selva Varengo, giovane e appassionata ricercatrice della Statale, studiosa di ecologia, questioni di genere, anarchismo. Il suo ultimo libro “La rivoluzione ecologica. Il pensiero libertario di Murray Bookchin” edito da Zero In Condotta ci ha fornito diversi punti su cui riflettere nel percorso che abbiamo avviato da tempo sui temi dell’ecofemminismo.
Bookchin (1921 – 2006), scrittore, pensatore e militante libertario statunitense, è stato un precursore della tematica ecologista fin dagli anni 50. La sua riflessione ruota intorno al concetto di dominio come paradigma delle relazioni tra gli esseri umani, tra la specie umana, le altre specie e la natura. Non è il genere umano in sé, ma il modo in cui la società è strutturata nel sistema capitalistico globale che produce ogni genere di sfruttamento e che oggi mette a rischio il pianeta.
“Se non faremo l’impossibile ci troveremo di fronte l’impensabile!”
È drammatico l’allarme lanciato da Bookchin. Per lui, come Selva ha precisato dialogando con Floriana Lipparini della Casa delle Donne, l’unica soluzione per il disastro ecologico è la trasformazione radicale della società, eliminando il dominio di ogni essere umano sull’altro e cancellando tutte le forme di potere gerarchico, di cui la prima è il patriarcato.
La questione ecologica è quindi inscindibile dalla questione sociale: da qui la sua visione di una democrazia orizzontale, basata su forme mutualistiche, assemblee popolari, sul decentramento delle città e la nascita di piccole comunità che permetteranno un nuovo equilibrio tra natura e società, ben integrato con le risorse del territorio.
In tempi recenti, il confederalismo democratico di Bookchin ha fortemente influenzato il processo rivoluzionario nella regione curda del Rojava, in cui le donne hanno un ruolo decisivo.
Patriarcato, gerarchie e ruoli
Diversi i punti e le domande emerse dal dibattito. Si è parlato degli elementi comuni tra ecofemminismo ed ecologia sociale, come il rifiuto del razzismo e della superiorità della specie umana sulle altre specie. Il richiamo al femminismo indica però il superamento della divisione di genere, cui Bookchin non arriva. Un altro punto molto discusso ha riguardato le conseguenze della sua impostazione anarchica e libertaria, che prevede democrazia diretta, superamento delle gerarchie, ruoli solo a rotazione e sempre revocabili, forte limitazione del rapporto con le istituzioni, previsto solo a livello locale.
Molte le domande e le criticità. Patriarcato, gerarchie e autoritarismo sono la stessa cosa? Come è praticabile un superamento delle gerarchie che vediamo essere così difficile nell’esperienza quotidiana, in famiglia, nella società, nell’educazione? È possibile gestire una società complessa senza competenze, basandosi solo su ruoli a rotazione? E se non è possibile, possiamo immaginare un utilizzo positivo delle capacità e delle esperienze che si basi sulla responsabilità e non sul potere?
Un’utopia o un orizzonte verso cui incamminarsi?
Esperimenti di autogestione comunitaria ci sono stati e ci sono (Rojava, Zapatisti, Bolivia). Funzionano solo in realtà circoscritte e in situazioni di lotta o sono modelli estendibili? E dove si sono esauriti, è stato per attacchi esterni o per difficoltà interne a praticare relazioni orizzontali?
E ancora. I tempi delle trasformazioni sociali e culturali sono lenti, l’ecologia imporrebbe scelte rapide: se aspettiamo di distruggere il patriarcato, nel frattempo il pianeta morirà. La stessa battaglia ecologista non può essere solo consapevolezza individuale o di piccoli gruppi: come collegarsi allora a battaglie politiche più generali che richiederebbero mobilitazioni di massa, come per esempio in questi giorni le decisioni europee in campo agricolo (pesticidi, allevamenti intensivi ecc)?
Come sempre, di fronte alle grandi questioni, che si affacciano sul futuro e sull’utopia, tendiamo a collocarci o in modo ottimistico, sullo slancio dell’entusiasmo e della forza degli obiettivi oppure in modo più scettico, se non pessimista, sulla base dell’esperienza e della consapevolezza delle enormi difficoltà da superare. Spesso, e in parte anche nell’incontro alla Casa delle Donne, si manifestano punti di vista diversi in base all’età, più entusiaste le giovani, più critiche le anziane.
“È vero che l’orizzonte è lontano e può sembrare un’utopia” ha concluso Selva Varengo. “Ma la cosa importante è mettersi in cammino su una strada che sia coerente con quell’orizzonte”.
Forse è il punto da cui riprendere la discussione.