“Ritroviamoci qui ogni quattro o cinque mesi, in questo luogo simbolico che è la Casa delle Donne, così accogliente, e facciamo il punto su che cosa è successo e quanto siamo riusciti ad andare avanti”. Non poteva esserci riconoscimento migliore, per la Casa delle Donne, di questo impegno proposto da Fabio Roia, magistrato di punta in Italia sui temi della violenza di genere.
E’ sabato 6 aprile 2019 tardo pomeriggio, alla fine di un dibattito intenso e partecipato durato oltre quattro ore sul tema “Prevenzione della violenza di genere: quali possibili sinergie?”. Un evento preparato e proposto dal Gruppo Sportello degli Sportelli della Casa delle Donne.
Roia, all’inizio dell’incontro, aveva chiesto di poter intervenire alla fine, per poter ascoltare e imparare dalle tante voci previste dal programma della giornata, come “momento di formazione personale”.
E così è stato anche per tutte e per tutti i presenti. Donne e uomini. Rappresentanti delle istituzioni, come Diana De Marchi e Miriam Pasqui del Comune di Milano, lo stesso Roia del Tribunale di Milano. E voci più e meno giovani di associazioni di volontariato: dalla pluridecennale cooperativa Cipm (Centro italiano per la promozione della mediazione) alla recentissima Mama Chat, dalla onlus internazionale Action Aid ad associazioni nate sul territorio, come gli uomini di Maschile Plurale della Brianza. Gruppi che lavorano con le donne vittime di violenza, come la cooperativa Cerchi d’acqua. E persone che lavorano nelle carceri con gli uomini violenti, come le psichiatre del Forum Lou Salomé.
“Fino a qualche anno fa chi si occupava dei maschi maltrattanti non veniva nemmeno invitata ai dibattiti sulla violenza di genere” ha ricordato Francesca Garbarino, criminologa del Cipm, un’esperienza pluriennale nelle carceri milanesi, denunciando qualche resistenza, nel movimento delle donne, ad occuparsi degli uomini violenti.
Il vero valore dell’evento stava proprio lì, nell’incontro tra realtà e punti di vista differenti, che non hanno quasi mai occasione di confrontarsi, di discutere come si può lavorare insieme nella prevenzione della violenza di genere, tra soggetti con identità e pratiche eterogenee, spesso privi di obiettivi comuni e di una “cabina di regia” che invece sarebbe necessaria (Roia).
Una rete informale che, come ha ricordato Diana De Marchi, presidente Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili, vede già il Comune di Milano in prima linea con il sostegno ai centri e alle case rifugio per le donne maltrattate e con lo sforzo di coordinare esperienze di volontariato, cooperative, servizi sociali, forze dell’ordine, magistratura in un grande lavoro operativo e culturale. “Capisco che cosa dobbiamo sradicare nella cultura, capisco il patriarcato, le dinamiche di potere, ma ancora non riesco a capire come si generi il gesto omicida all’interno di una relazione di intimità” ha detto Miriam Pasqui, responsabile dell’Unità Coordinamento delle Emergenze Sociali del Comune di Milano. “Dobbiamo ragionare anche con gli uomini, trovare nuovi modi di relazione tra i generi”.
Un processo lungo, non scontato, che deve partire da bambine e bambini, ragazze e ragazzi. Gran parte delle associazioni presenti il 6 aprile alla Casa lavorano anche nelle scuole. Per “praticare la nonviolenza come atteggiamento quotidiano per maschi e femmine” (Annabella Coiro, Centro Nonviolenza Attiva). Per “parlare di una sessualità spesso virtuale, su cui si innestano cyberbullismo e revenge porn” (Giusi Laganà, Fare per Bene). “far capire ai giovani maschi che siamo un corpo, che il mondo è altri corpi da riconoscere e rispettare, per promuovere l’idea che un’altra mascolinità è possibile” (Ermanno Porro, Maschile Plurale). Un’impresa non facile, per gli uomini. “Anche se facciamo molte iniziative, dobbiamo riconoscere che la stragrande maggioranza delle nostre interazioni sono con le donne, invece siamo noi maschi che dobbiamo uscire da una corazza che ci crea solitudine e sofferenza” (Giancarlo Viganò, Maschile Plurale)
Clou della discussione era naturalmente la questione di come affrontare la violenza e i femminicidi (che, è stato ricordato, rappresentano in Italia un terzo degli omicidi).
Le leggi hanno fatto grandi passi avanti in Italia nell’ultimo decennio: legge sui femminicidi (2013), sullo stalking (2009), recente disegno di legge “Codice rosso”, che contiene tra l’altro misure di contrasto al revenge porn. “Servono per stabilire che alcuni comportamenti maschili ritenuti ‘normali’ sono reati, servono perché prevedono tra l’altro l’’ammonimento’ del violento ai primi segni di maltrattamento e la denuncia anonima da parte di vicini di casa o passanti, tutte cose necessarie perché la richiesta di aiuto venga espressa prima che la violenza esploda” ha detto Francesca Garbarino. “Senza però dimenticare” ha puntualizzato Francesca Scalzi di Cerchi d’Acqua, “che dobbiamo sempre salvaguardare l’anonimato e il consenso della donna vittima”.
Ma soprattutto le leggi devono essere accompagnate dalla competenza di chi le deve applicare, da una specializzazione sui reati di genere che in Italia è ancora molto insufficiente: “Serve una formazione capillare e certificata, che a oggi riguarda il 60% dei pubblici ministeri ma solo il 13% dei magistrati e delle magistrate, e purtroppo ne abbiamo la prova in alcune recenti sentenze che parlano di tempeste emotive e cose simili” rileva Roia. “La formazione deve riguardare anche gli avvocati, perché la legittima difesa dell’imputato non crei uno sbilanciamento a danno della vittima”.
C’è poi tutta la grande questione di come affrontare il ‘dopo’ la violenza. In una prima fase per proteggere le vittime, attraverso le case rifugio, successivamente per aiutarle a conquistare l’equilibrio emotivo e la fondamentale autonomia economica, inventandosi o trovando un lavoro. Ne hanno parlato le rappresentanti della cooperativa Sei petali e di Action Aid.
Ma il ‘dopo’ riguarda anche i maschi maltrattanti. “Oggi il percorso di uscita dalla violenza è tutto a carico delle donne” ha denunciato la psichiatra Chantal Podio. “Invece è necessario lavorare con gli uomini violenti, far prendere loro coscienza di ciò che hanno fatto. Non dobbiamo aver paura che i fondi necessari per questo vengano sottratti a quelli stanziati per le donne. In realtà intervenire sul violento serve per impedire che ripeta i comportanti aggressivi verso altre donne. Anche pensare che gli uomini non possono cambiare è uno stereotipo. E stigmatizzarli come mostri non serve a nulla”.
Grazia Longoni