C’entra con la cura? Tangenzialmente sì. Ed è comunque un bel testo tratto da un post di Gabriella Cabrini che spero vi farà piacere leggere. BUONA ESTATE.

Nadia Boaretto

Problemi economici
di Franca Alaimo

Da quando mi tocca fare i conti su pezzi di carta
(divisioni e soprattutto sottrazioni),
la mia mano non è ubriaca di gioia
come quando scriveva solo poesie.
C’è un altro mondo da scrivere
fatto di cose da comprare
che escludono le altre, troppo care.
Non sento più l’anima leggera:
le montagne, le colline, le gazze
non avevano cartellini con il prezzo
e meditavo spesso sulla libertà.
E contemplando lungo i sentieri
i miei passi erano tardi e lenti.
Per ore fissavo le nuvole
e il tempo aveva una dimensione
assolutamente non economica.
Ma in città i pensieri quotidiani
riguardano l’affitto, il cibo, le bollette,
gli operai, gli oggetti che si rompono.
Le vetrine mostrano fin troppe cose;
e alcune hanno colori straordinari,
quasi come i quadri di Kandiskij o di Matisse.
Lo so che me ne devo fregare:
ho un radar nella testa rivolto ad altro
e cammino veloce per non fermarmi.
Oh, non devo farmi tentare!
Però, di notte, quando apro la finestra,
e nessuno è più in giro,
posso visitare senza fretta i negozi deserti
dove brillano luci colorate
che accendono i marciapiedi come gemme.
Penso a tutta la frutta che riposa nel frigo del negozio,
ai profumi che si mischiano,
ai sapori trattenuti dentro le polpe dormienti.
Alle bottigliette di profumo allineate sugli scaffali
che hanno regalato uno spruzzo della loro anima floreale
ai polsi delle donne che ancora odorano
stretti sul petto, nel sonno.
Immagino le cassette piene di roba marcita
lasciate nella piazza del mercato
che presto le porteranno via
(oh, sconcezza magnifica dei resti!).
Sento i corpi che mi respirano sul capo,
al piano di sopra,
e mi metto a sognare un’altra città
da quella che vedo di giorno.
Un palcoscenico solitario
dove qualche dio e tutte le creature immaginarie
possono finalmente fare con me
una lunga e bella passeggiata.
E tutte quelle macchine verniciate,
silenti lungo i marciapiedi,
mi ricordano i giocattoli di latta
guidati con mano infantile lungo le strade di casa
sotto le sedie, sopra i braccioli del divano.
Peccato che quasi nessuno veda la città
quando sogna, immobile,
quando l’aria è colma di misteriosa sapienza,
quando perfino l’urlo di una sirena è così lontano
da sembrare un verso gentile ed irreale.
Sulla ringhiera dell’ultimo piano
si è posato il cielo nerissimo
con quattro stelle ridenti.
Ma ora vado a sdraiarmi sul letto:
sarà bello lasciarsi cullare dai rari fruscii
che immagino allargarsi nel mondo
come fiori notturni;
lascerò la serranda abbassata,
ma non così tanto che domani
non salga insieme alla luce
il profumo dei cornetti sfornati,
il rumore secco della portiera del furgone
sbatacchiata dal padrone del bar,
giù, all’angolo.
Domani avrò solo dodici euro da spendere,
e, accidenti!, è rimasto soltanto
un pugno di croccantini per la mia gatta.