È bello e fresco il libro appena pubblicato da Enciclopedia delle donne, 2018, a cura della Fondazione Badaracco, Ragazze nel ’68. Fresco perché non c’è modo migliore, per descrivere e narrare un anno cruciale di trasformazioni collettive e individuali, che dare voce diretta a chi ha avuto la fortuna di viverlo personalmente, quel periodo infuocato e creativo. La copertina, nei toni di un bel rosso scuro con un po’ di grigio, riproduce l’opera di Paola Mattioli, Case occupate al quartiere Gallaratese, Milano 1974. Case occupate, momenti di lotta: sul grigiore dei casermoni di periferia si levano astratte immagini di muri rossi, di percorsi paralleli e labirintici verso la luce del futuro, intravisto nell’opera al termine di una scalinata ascensionale.
Il libro mantiene poi le sue promesse nelle voci dirette di 19 donne che rievocano il loro Sessantotto, facendo perno proprio su quell’anno cruciale anche se ci sono in ogni biografia pure dei momenti “prima” e “dopo”. Le minibiografie delle autrici si intersecano con una premessa di Assunta Sarlo, con due Intermezzi di Carlotta Cossutta e di Sveva Magaraggia, figlie di anni successivi, con un’introduzione (messa alla fine) a cura del Comitato Scientifico della Fondazione e con la biografia di Elvira Badaracco, scritta da Marina Zancan. Molte fotografie d’epoca, che ritraggono le ragazze nel ’68 o nei dintorni, ritratte in momenti di lotta o di ricerca o di ribellione, accompagnano le testimonianze e riconducono efficacemente chi legge al sapore di quegli anni.
Molti fili rossi uniscono le diversissime testimonianze. Ragazze che hanno la fortuna di intersecare il loro percorso di emancipazione, liberazione, scoperta del mondo e dei propri desideri con un’esplosione collettiva e simultanea, a livello globale, di movimenti di giovani (e non solo) che contestano l’autoritarismo e le strutture oppressive, imperialistiche, consumistiche, militariste del potere contemporaneo. Figlie del “baby boom”, cresciute in un clima di espansione economica e sociale, si sentono in partenza forti, numerose e solidali nei loro conflitti con padri e madri, con autorità accademiche e culturali, con le istituzioni che la “lunga marcia” proposta da Rudi Dutsche intendeva attraversare, rovesciare, modificare profondamente. Nello stesso contesto e all’incirca negli stessi anni si sviluppano i collettivi e le forme di autocoscienza dei vari femminismi, in un intreccio fertile e spesso conflittuale. Le ragazze del ’68 vivono questa coincidenza, se ne lasciano attraversare con un’inquietudine produttiva e con un’appassionata ricerca del nuovo. Praticamente tutte diventano femministe, prima o poi, e prolungano il loro impegno nei decenni successivi nelle varie forme nei movimenti delle donne, più duraturi della fiammata sessantottina.
Giustamente si rivendica il carattere profondamente innovativo e periodizzante di quell’anno, in cui molti percorsi di novità, di critica e di rivoluzione, prima percepibili ma un po’ sotterranei, si manifestano in modo eclatante e inconfondibile. Il ’68 è un po’ come il ‘48, il mitico Quarantotto del secolo XIX per la simultaneità dei movimenti di lotta e di contestazione, ma si manifesta su una scala mondiale globale e interconnessa (sia pure solo tramite telefono, manifesti, giornali, viaggi e contatti personali, stampa e convegni ecc. e senza Web).
Rileggendo oggi le testimonianze, ci si rende conto anche di ciò che da molto tempo covava sotto la cenere. La vicenda di parecchie di noi – studentesse universitarie che per gli studi lasciano la casa e spesso le città di origine – richiama per alcuni aspetti le storie di ragazze che, nel romanzo di Alba de Cespedes “Nessuno torna indietro” uscito nel lontano 1938, coltivavano solidarietà, trasgressioni e confidenze nel Collegio “Grimoldi” diretto e gestito da suore. Percorsi di emancipazione e di liberazione si intersecano. Finalmente le ragazze studiano, scelgono la propria facoltà, ne fanno un’occasione di cultura e di comunicazione profonda. Magari le famiglie d’origine sono rassicurate da questi collegi femminili a gestione benpensante e “ordinata”, in cui però maturano anche le premesse di nuove relazioni tra donne, di nuovi modelli, di ribellioni che traggono forza dalla condivisione di malesseri e di desideri.
Insomma, il nostro Sessantotto è stato “mitico”, ma dobbiamo essere riconoscenti a tutte le lotte delle donne delle generazioni precedenti, e a tutti i movimenti anteriori e contemporanei di protesta e di contestazione. Le parole che esprimono nel libro donne più giovani, come Carlotta Cossutta e Sveva Magaraggia, incoraggiano a pensare che la trasmissione di valori e di messaggi è ancora possibile. Il libro appena uscito risulta prezioso, in questa direzione. Perché, come diceva già nel romanzo di Alba de Cespedes proprio Xenia, la ragazza che non torna indietro: “Chi può dimenticare di essere stata padrona di se stessa? “
Vittoria Longoni