Testo relativo al secondo incontro del ciclo Donne e percorsi di Autenticità intitolato Separatismo e sguardo autonomo sul mondo
di Giulia Kimberly Colombo
Il secondo incontro è dedicato all’esigenza di muoversi in un contesto “altro”, lontano dall’influenza maschile, in cui le donne possano riscoprire la relazione con sé stesse e con le altre.
Prime impressioni e pensieri di una giovane neofita.
“La cosa più difficile è superare la contaminazione del contesto”. Con queste parole di Daniela Pellegrini, vengo introdotta per la prima volta, un sabato di gennaio, al dibattito sul separatismo femminile.
Arrivo sola alla Casa, inconsapevole del fermento che anima questo luogo con le sue numerose presenze e la lunga lista di incontri e attività. Tutte si conoscono, si salutano calorosamente. Le due ore di dibattito prendono avvio, in “una stanza piena di donne… nel cuore di Milano”.
Bastano pochi scambi di battute, poche interventi e immediatamente colgo il ruolo essenziale della pratica nell’esperienza di tutte le presenti, concordi nel definire il separatismo una necessità imprescindibile nel proprio percorso individuale di autocoscienza e realizzazione di un sé femminile autentico e indipendente.
Eppure io, seduta in mezzo a quelle donne, i cui discorsi e il cui percorso trovo interessanti, quando non pienamente affascinanti, ero giunta fino a quel giorno non avendo mai contemplato in maniera così categorica l’eventualità di un separatismo finalizzato a capirmi, a sentirmi pienamente me stessa in quanto donna.
Rifletto sulla mia storia. Certo, ho avuto rapporti profondi e insostituibili che durano tuttora con alcune donne della mia vita: con mia madre, con la quale ho la fortuna di avere, fin da bambina, un canale preferenziale di comprensione e comunicazione. E con poche amiche, due, forse tre, con cui, in tempi recenti, ho costruito un rapporto di fiducia, solidarietà e stima.
Per quanto queste donne costituiscano un fronte di apertura, dialogo, accoglienza, e anche ispirazione, e io debba a queste relazioni molte acquisizioni sulla mia personale esperienza di genere, non posso affermare di aver mai praticato in maniera sistematica e consapevole un vero separatismo femminile.
Nel timore di un certo estremismo che intravedevo in una pratica sconosciuta e giunta a me filtrata solo da molte opinioni (maschili!), aspettavo una smentita che prontamente è arrivata, nelle parole di una donna di straordinaria freschezza e intelligenza. Daniela Pellegrini, femminista radicale con alle spalle anni di impegno a favore delle donne, apre l’incontro con un breve excursus storico sugli anni più intensi e combattivi del movimento femminista a Milano. Nei racconti di Daniela il separatismo ha rilevanza prima di tutto per le donne, piuttosto che per gli uomini da cui si esse si separano. Lungi dall’essere un’auto-esclusione disperata da una società patriarcale come quella in cui noi tutte siamo nate e cresciute, e ribaltando la tradizionale prospettiva che lo considera uno “stare senza l’altro”, piuttosto che uno “stare insieme alle altre”, il separatismo è un invito alla scoperta di sé stesse.
Pur avendo indubbiamente la forma di una rottura materiale, esso si manifesta in realtà sul piano simbolico del pensiero e del discorso, e rappresenta forse l’unica possibilità che questi si esprimano in autonomia dallo sguardo, dalla presenza maschile.
Molte donne presenti all’incontro condividono il loro personale vissuto e si instaura un clima molto vivace, di partecipazione e ascolto. Alcune ricordano un’esperienza passata di vita in comune, lontane dai maschi, come un momento irripetibile di libertà e creatività.
Per queste donne separarsi ha significato comprendersi, forse davvero per la prima volta, rispecchiandosi nella relazione con le altre, dialogando e pensando attorno a un sentire comune, femminile, che passa innanzitutto per il corpo (“la materia sapiente” di cui parla Daniela).
Ma è oltre la singolarità di queste esperienze, pur straordinarie, che percepisco la forza della pratica del separatismo. Una delle donne presenti, Linda, si alza e prende la parola.
Linda afferma di aver esercitato la pratica a più riprese in varie fasi della vita, proprio perché irrinunciabile fonte di riflessione e di confronto, con le altre, e con sé stessa.
Tuttavia, mi trovo in accordo con lei quando sostiene che il senso ultimo del separatismo sia quello di innescare un cambiamento al di fuori del cerchio chiuso delle donne della Casa, di diffondersi come pratica e come strumento di aggregazione a cui far seguire un reale e concreto impegno politico.
Il separatismo è un percorso, uno strumento, non un’ideologia; questa l’idea di molte donne, che condivido fermamente. L’autocoscienza, promossa dalle femministe della prima ora come il fine ultimo della separazione dal contesto maschilista e patriarcale, deve innescare una presa di posizione che abbia il potere di incidere sensibilmente sulla società.
La presa di coscienza corrisponde ad un’assunzione di responsabilità che rinforzi ancor più il legame tra le donne su un piano collettivo.
Le due ore sono trascorse, ci si alza per una pausa. Faccio conoscenza con alcune delle partecipanti. Elena mi stringe la mano, mi invita a tornare e mi ricorda che è giusto coinvolgere le più giovani in un discorso che non deve esaurirsi nell’esperienza, importantissima ma pur circoscritta, delle prime attiviste. Antonella mi fa dono dell’ultimo libro di Daniela, “La materia sapiente del relativo plurale”, oggetto di discussione durante l’incontro appena concluso.
E infine, prima di lasciare la Casa, ringrazio Daniela per la sua testimonianza.