Il paesaggio aspro e brullo dell’altopiano iranico, che si estende con i suoi deserti sassosi e sue alte montagne per centinaia di chilometri, fa da sfondo a questa poesia di Forugh Farrokhzad poetessa iraniana, figlia inquieta e ribelle di questa terra. Forough ha fatto della libertà il principio fondamentale della sua opera artistica e della sua esistenza. In occasione dell’anniversario della sua morte tutti gli anni molte persone si riuniscono accanto alla sua tomba e leggono le sue poesie.
Sulla terra di Forugh Farrokhzad (1935-1968)
Non ho mai sperato
diventar stella nel miraggio celeste.
Non ho sperato,
come un’anima eletta,
accompagnare angeli silenziosi.
Non mi sono mai separata dalla terra,
non ho mai incontrato una stella.
Sono in piedi, sulla terra.
Il mio corpo: uno stelo d’erba
che, per esistere, succhia
il sole, il vento, l’acqua.
Fertili i miei desideri,
fertile il mio dolore,
io sto sulla terra:
voglio l’elogio delle stelle
voglio le carezze del vento.
Guardo dalla mia finestra.
Non sono che l’eco di una canzone:
io non sono eterna.
Di una canzone, cerco solo l’eco,
nel grido di un desiderio
più puro del silenzio del dolore.
Io non cerco il nido
in un corpo steso come la rugiada
sul giaggiolo del mio corpo.
Sul muro della mia vita,
uomini, viandanti,
hanno tracciato ricordi
col nero carbone dell’amore:
un cuore trafitto da una freccia,
una candela rovesciata,
punti pallidi e silenziosi
sulle lettere della follia.
Tutte le labbra
che sfiorarono le mie labbra
hanno creato nella mia notte, una stella,
che si posava sul fiume dei ricordi.
Perché dovrei invidiare le stelle?
Questa è la mia canzone
Non ci fu mai niente, prima.
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