di Angela Giannitrapani
Con la conduzione equilibrata e compartecipe di Giovanna Majno, la sera del 6 marzo ha avuto luogo l’atteso incontro dal titolo “Scegliere di vivere senza la mafia”, progettato attorno al libro di Alessandra Ziniti “Libera – Storia di Anna” ed Fuori Scena 2024. Presenti l’autrice e giornalista, il sociologo Nando Dalla Chiesa e la già magistrata Francesca Manca.
Come illustrato nel testo di presentazione dell’evento, l’argomento tratta della difficile situazione in cui si trovano coloro, in maggioranza donne con figli, che vogliono sottrarsi al contesto mafioso in cui hanno vissuto sin dalla nascita. Il libro di Ziniti parla in particolare della vicenda di Anna, nome di copertura, che a 27 anni resta vedova del marito, vittima di lupara bianca, con due bambine piccolissime. L’incontro con Don Luigi Ciotti e l’Associazione Libera risponde nell’immediato ai suoi forti impulsi di fuggire dal contesto ‘ndranghetista a cui la sua famiglia e quella del marito appartengono, al punto da stringerle attorno a lei divieti e maglie di comportamento inaccettabili. Il libro ripercorre le difficili tappe della vita di Anna, senza la protezione dello Stato perché non rappresenta né una pentita né una testimone di giustizia.
Le riflessioni degli ospiti si sono soffermate proprio su questo nodo, in cui il vuoto giuridico e istituzionale rende scoperte e indifese le persone che intraprendono questa strada. Il professore di Sociologia della criminalità organizzata Dalla Chiesa ha sottolineato come questo vuoto sia affrontato con coraggio e abnegazione dall’Associazione Libera di Don Ciotti, di cui lui stesso è Presidente Onorario per la pluriennale collaborazione attiva. In tono diretto ha esplicitato tutta la ricchezza di collaborazioni, di interventi e di delicata fatica che i volontari dell’Associazione svolgono, nonché la vasta rete di famiglie che mettono a disposizione le loro case e il loro ambito familiare per la prima accoglienza di chi ne ha bisogno, che siano minori o madri con figli.
E proprio questo punto è stato sviluppato, sia come dato sociologico che umano e culturale: la maggioranza di chi fugge e chiede aiuto è costituita da donne madri. Sembra proprio che lo status della maternità faccia scattare, in chi già è dissenziente dal contesto mafioso, quella molla determinante a mettere in atto strategie di allontanamento. Ce lo conferma il Professore, che ha avuto toni commossi nel ricordare uno dei casi emblematici di questo fenomeno, Lea Garofalo uccisa dal marito mafioso, al cui funerale lui stesso ha partecipato insieme a Libera e è testimone degli sforzi dell’Associazione per continuare a tutelare la figlia Denise.
Lo conferma la magistrata Francesca Manca che oggi è una instancabile attivista nelle scuole, dove deve fronteggiare le inadempienze dello stato che risuonano nelle domande e nelle osservazioni lineari di alunni e alunne che chiedono congruenza. Lo conferma Alessandra Ziniti che dopo un primo colloquio con Anna non si è accontentata di scriverne un articolo ma ha sentito il forte richiamo di dare maggiore spessore a quella testimonianza di vita e di coraggio. Ha ammesso che pur avendo scritto di mafia per tutta la sua carriera giornalistica e dopo aver ascoltato persone in vario modo collegate alla mafia, anche in modo cruento, questa di Anna è una storia che l’ha segnata in modo particolare e che non le ha lasciato la pace di un semplice articolo. Quando le ho chiesto il perché mi ha risposto nell’unico modo che mi aspettavo: perché Anna non sa e perché non è tutelata e protetta. Appartiene, cioè, a una categoria inesistente per le istituzioni e a una categoria del tutto imprevista e fuori dai canoni per tutti noi.
E, mentre la lotta alle cosche si gioca innegabilmente con l’impegno delle forze dell’ordine, della magistratura, dello stato, questa lotta che avviene per sottrazione di soggetti, per così dire, passa inosservata. Eppure, ha un’enorme forza dirompente anche’essa, a ben pensarci: lotta dal basso, scrolla le basi, fa fibrillare l’impalcatura, nega alla mafia l’affiliazione di nuove generazioni. Ora non mi piace più dire che queste donne fuggono dalla mafia ma che si sottraggono alla mafia, se ne allontanano e disobbediscono esponendo sé stesse e i figli a rischi enormi.
Questo non è fuggire. Anche se viene da un impulso personale è un atto politico, sociale e culturale, confermando quanto noi donne dichiariamo da anni: il personale è politico. Mai come nell’ambiente mafioso il nesso è così stretto e evidente e mai come sovvertirlo è degno di nota alla coscienza civile.
La figlia di Anna ormai giovane universitaria, ci racconta Ziniti, studia Giurisprudenza e vuole tornare in quella Calabria dalla quale ha vissuto lontana con tutta la forza e la competenza di una carriera in magistratura. Ce la farà? La faranno sopravvivere? Noi lo speriamo ma qui è importante sottolineare che la nuova generazione non solo ha rifiutato la mafia ma torna per combatterla.
La bellezza della scrittura del libro di Ziniti e la storia raccontata ci aveva conquistato ma tutto l’alone valoriale e di testimonianza che da questa si sprigiona ci è stato regalato con generosità e commozione dai tre ospiti che ci hanno spinto oltre le pagine. Sia quelle che vanno verso un cammino di legalità sia tutti i volontari pronti a traghettarle.
Coinvolgenti le letture di Cinzia Iraci di alcuni brani del libro. Preziosa la collaborazione della giovane Giorgia Patrignani che ha lottato con due microfoni dalla vitalità intermittente e che ci ha garantito la diretta Face Book.
Parole chiave: donne coraggio mafia