Vi proponiamo due romanzi e una biografia: Epigenetica di Cristina Battocletti (La Nave di Teseo 2024), Virdimura di Simona Lo Iacono (Guanda 2024) e Il mio silenzio è una stella – Vita di Francesca Morvillo –Giudice innamorata di giustizia, di Sabrina Pisu (Einaudi 2024).

Maria da Epigenetica, dopo una vita di abbandoni subìti e causati, cerca di interrompere la catena di reiterati comportamenti e scelte che la portano a un vuoto esistenziale annichilente. Ma il cuore del romanzo è la ricomposizione delle tessere vitali di un’infanzia dolorosa ma pur sempre ricca di amore e la
ricerca, faticosa ma composta, di senso della propria vita.

Virdimura ci porta indietro al 1300 a Catania e ci parla della prima donna doctora a cui è stata concessa la “licencia maestri practicandi in scientia medicine” nel 1376. La ricostruzione romanzata di una figura realmente esistita in una città della Sicilia cosmopolita eppure piena di pregiudizi, con rigorose scuole mediche ma anche con il nuovo che avanza, con il riconoscimento a una donna eccezionale in un periodo storico che non ammetteva le donne a curare ufficialmente. Contraddizioni e conquiste in un’unica vita.

Francesca Morvillo, conosciuta finora solo come la moglie di Giovanni Falcone, emerge dalle pagine della biografia di Sabrina Pisu con tutto lo spessore che nella realtà ha avuto. Magistrata nel 1967, solo quattro anni dopo che le donne furono ammesse alla magistratura, si è distinta per la competenza e la serietà professionale a cui ha aggiunto una sensibilità tutta sua nel seguire e progettare il recupero degli imputati, specie i minorenni. Coraggiosa nel suo lavoro e nella vita privata, ha condiviso con il marito i rischi della loro vita in comune e infine anche la morte in un attentato brutale.

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Epigenetica Epigenetica
di Cristina Battocletti
ed. La Nave di Teseo 2023

E’ un romanzo coraggioso. A cominciare dl titolo: Epigenetica. Ci vuole coraggio a usare come titolo il nome della scienza che studia le relazioni tra i geni e cioè il modo e la frequenza con cui le informazioni tra loro vengono lette e tradotte. Potrebbe far pensare a un saggio. Invece è una storia che è metafora dell’epigenetica. Come, pur non alterando la loro sequenza, i geni si parlano con le innumerevoli variabili dovute all’ambiente, ai fattori chimici e fisici anche di generazioni precedenti, così la vita di Maria, che sembra destinata a replicare quella della sua famiglia, può invece avere una svolta inaspettata.

Questa donna, ormai negli anni cosiddetti maturi, racconta della sua infanzia, con i due fratelli più piccoli, con un padre che ripete come un mantra che loro non sono figli suoi ma che li porta a pescare e che è l’unico padre che hanno fino al giorno in cui, senza avviso, se ne va. Resta la madre che di quella partenza approfitta per abbandonare ogni subalternità e fare esplodere la sua personalità. Senza regole, senza ordini, senza responsabilità si lascia cadere in lunghi sonni profondi, abbandonando i figli a sé stessi. A volte si risveglia con un invito improvviso: ”Andiamo al mare” e l’aria di festa e di libertà invade i bambini. E’ una madre vaga, leggera, inesistente ma che pesa “come sassi sugli altri”. Eppure, amatissima, desiderata, da proteggere.

“La mamma era eccezionale, estrema, speciale, tremenda, straordinaria. In una parola terrificante”. E’un misto di vaghezza e di libertà fantasiosa che la lega alla protagonista Maria in un ambiguo quanto annodato rapporto, che ondeggia continuamente tra ruoli opposti di figlia-madre, confondendoli fino al punto da sovvertirli. Il suo scivolare inesorabilmente nella dissoluzione di sé stessa causa la dissoluzione del nucleo famigliare e la sua completa scomposizione. Maria e i suoi fratelli saranno divisi dai servizi sociali e dati in affido.

Tutta la vita futura di Maria consegue da qui. I suoi rapporti con gli uomini, la sua maternità interrotta dall’abbandono volontario del figlio Emanuele, in tenera età, sono tappe di un precipitare senza soste.
La scrittura è l’unico sollievo e la porta perfino alla notorietà con un’apparente soddisfazione. Ma questa è frutto di un dolore cupo, denso come la pece che sembra coagularsi e alimentarsi negli abbandoni reiterati e nell’abbandono originario. Ma così come nelle espressioni fra i geni pesano le eredità emotive, altrettanti variabili ambientali, culturali e, perché no, occasionali possono cambiare il corso di una vita e depistare l’inesorabile corsa esistenziale dall’inevitabile epilogo. E’ questo spiraglio che dà speranza di uscire dal determinismo genetico, costa lacrime e sangue ed è affidato al libero arbitrio di Maria, insieme a una serie di opportunità che sta a lei cogliere e interpretare.

Non c’è un lieto fine ma c’è speranza in questo libro. E anche tenerezza, senza sconti per buoni sentimenti con il richiamo, questo sì, alla volontà e alla lucidità di nominare l’indicibile e di fronteggiarlo. In fondo, oltre l’abbandono, rimangono i disegni di quell’amore infinito per la madre, le piccole conchiglie smozzicate emerse dal fango delle gite alla laguna di Grado.
Cristina Battocletti, con una scrittura asciutta, incisiva, come di cristallo ma anche evocativa ci conduce in questo accidentato viaggio dall’infanzia all’età matura attraverso i luoghi. C’è Grado dell’infanzia con il suo languore lagunare, le sue luci lattiginose e con le prime scoperte; c’è Milano dove l’età adulta si misura con le contraddizioni della metropoli viva e aggressiva; c’è Roma come luogo di adozione temporanea; infine il sud, Brindisi, dove la scrittrice sceglie che i nodi vengano sciolti.

E’ un continuo andirivieni in questi posti con i loro periodi di passaggio; non sono flashes-back ma peregrinazioni continue che seguono il ritmo e le direzioni del viaggio interiore di Maria. Al servizio di questo complesso girovagare ecco la altrettanto complessa e sapiente struttura narrativa che ne segue le fasi e le allaccia in modo del tutto inusuale.
Il romanzo offre una nuova lettura, nell’evocazione di una possibilità epigenetica, del rapporto madre-figlia-madre e del suo destino.
Il libro ha meritatamente vinto i Premi Dolores Prato 2024, Premio Merano e Premio Flaiano.

Angela Giannitrapani


Virdimura Virdimura
di Simona Lo Iacono
Guanda edizioni 2024

Virdimura in siciliano indica il verde che affiora dai muri umidi, una specie di muschio. E’ proprio con il contrasto tra il morbido dell’escrescenza vegetale e il duro della base su cui nasce che il padre della protagonista vuole identificarla. Aspetta giorni prima di darle un nome, perché attende un segno che lo guidi nella scelta: il giorno arriva e Virdimura viene battezzata, innalzandola verso un cielo che, generoso, ha voluto dare all’uomo questo dono.

“Siddur sefat haneshamah, benedetta sia tu figlia amata che ci hai fatto toccare questo momento”
Lui è il maestro Urìa, medico ebreo; la madre è morta poco dopo il parto. Di lei, all’inizio, si sa solo che era una donna impura e bellissima. La bambina sarà cresciuta dal padre, imparando tutto quello che lui sa e fa sui corpi e sulle anime dei suoi pazienti, senza distinzione tra ebrei, cristiani, musulmani e prevalentemente tra i poveri i derelitti. Il luogo è Catania e la storia si svolge dalla nascita della bambina, nel 1302, fino al 1376 quando, a Palermo, Virdimura viene convocata davanti alla Commissione di giudici che devono stabilire se è idonea alla professione di medica che lei svolge da sempre.

E’ lei stessa a raccontare a loro e a chi legge tutta la sua esistenza perchè solo nel racconto potranno giudicare e prendere una decisione. Le prove, le pratiche mediche non sono sufficienti a valutare chi cura, è necessario raccontare di sé, della vita, delle persone da cui ha imparato. E’ anche convinta che senza racconto non si guarisca del tutto. Imponendo il suo agli augusti doctori e al Dienchelele, la suprema autorità in rappresentanza del re, la sua vita si snoda dalla sua nascita “in un giorno di pioggia e di presagi” in una Catania bella, “Popolosa. Gloglottante. Colma di ebrei, musulmani, arabi, cristiani”.

Il padre, a quel tempo, è il migliore medico ebreo della città e delle aree circostanti e a lui si rivolgono ebrei, arabi, cristiani, nonostante il divieto per gli ebrei di curare al di fuori del loro gruppo di appartenenza. Il maestro Urìa la avvia all’uso delle erbe medicinali ma, vista l’insaziabile curiosità e capacità della figlia, la fa entrare nel vasto campo della medicina e della chirurgia. Virdimura è un’assistente scrupolosa durante le operazioni chirurgiche e la cura delle ferite ma anche nella dissezione dei cadaveri per studiarne l’anatomia. Impensabile per una bambina, per un’adolescente in seguito, per una donna infine.

“Ricorda. Se un malato è incerto chiedigli cosa ha sognato. Se è sicuro chiedigli in cosa ha sperato. Curali non partendo dai loro corpi ma dai loro lutti (…) dando più importanza al nascosto che al visibile. (…) La medicina non esige bravura. Solo coraggio”.
Guidata da questi insegnamenti, Virdimura non può che diventare la “dutturissa” di uomini e donne, attenta ai loro sogni, ai loro dolori, al profondo invisibile. Avrà come compagno di vita e di professione Pasquale, suo amico d’infanzia e figlio di un altro grande maestro, Josef de Medico. Quando suo padre sarà costretto a fuggire a causa delle persecuzioni e pregiudizi nei confronti degli ebrei, è con Pasquale che continuerà la sua professione, organizzando un ospedale per poveri. Curando anche le donne e i loro mali, ne recluterà molte che diventeranno sue assistenti.

Un intrico di contraddizioni sociali fatto di riconoscimenti e gratitudine ma anche di pregiudizi, di rabbie e paure durante i periodi di epidemie, ne sarà lei stessa vittima con l’aggravante di essere donna:
“Chi ero? Non un medico che nessuna legge di Israele o del mondo aveva mai autorizzato una fimmina a farsi dutturi. (…) Ero cittadina, ma anche straniera. Avevo un nome ma nessuno voleva pronunciarlo. (…) ero solo una donna. Razza di scartati, di unicorni, di mostri”
Patirà la fuga e la prigione ma quando ne uscirà il piccolo gruppo di persone da lei istruito non l’abbandona e riabilitata, grazie alla continua richiesta di essere curati da lei, ricomincia. Da sola, il marito morto di peste e il padre finiti i suoi giorni lontano, ma con i loro insegnamenti, la sua sensibilità e competenza insegna e condivide anche con altre donne bende e guarigioni, viaggiando tra la vita e la morte, in quella terra di mezzo che è la malattia de corpo e la sofferenza dello spirito.

Forte, tenace, solare, anche nelle pagine più buie, Virdimura colloquia con le autorità con rispetto ma con fierezza e con la sicurezza di chi combatte contro le superstizioni e le leggi degli uomini per affermare l’ineludibile diritto di tutti ad essere curati e a chi può e lo vuole di curare, non ultime le donne.
Nella sua produzione letteraria, Simona Lo Iacono non è estranea a queste figure e alle loro storie; le ha ricordate e rappresentate nei suoi romanzi. Questa volta, messa sulle tracce che portano ai luoghi dove Virdimura ha realmente vissuto, ha intrapreso un’impegnativa indagine storica su quella che sarà per decreto regio la prima donna ad ottenere la “licencia practicandi in scientia medicine” nel 1376, dando la possibilità ad altre donne di seguirne l’esempio.
Una storia e una protagonista affascinanti, alle falde dell’Etna in una società e in un periodo storico che ribollono di contraddizioni e dove il nuovo si fa strada come lava incandescente.

Audace la sperimentazione linguistica, ricca di siciliano, arabo, catalano, ebraico e italiano arcaico che potrebbe portare a un’ulteriore analisi. Ma qui lascio i miscugli sonori che escono dalle pagine all’orecchio e alle conoscenze di chi leggerà.

Angela Giannitrapani


IlMioSilenzioStella Il mio silenzio è una stella. Vita di Francesca Morvillo, giudice innamorata di giustizia
di Sabrina Pisu,
Einaudi 2024

Ecco una biografia di cui si sentiva molto la mancanza. Venerdì 11 ottobre alle 18, alla Casa delle Donne di Milano ci sarà la presentazione di questo libro, frutto di un accurato lavoro di ricerca, di verifiche e di interviste, scritto bene, con equilibrio e senza enfasi, alternando i fatti con le testimonianze dirette di chi l’aveva conosciuta. Saranno presenti all’incontro l’autrice Sabrina Pisu e la magistrata Laura Curcio, coordinate da Giovanna Majno.

La figura di Francesca Morvillo (Franca per gli amici) , nata a Palermo nel 1945, magistrata rigorosa attiva in più campi e impegnata socialmente, uccisa a Capaci il 23 maggio 1992 nel tremendo attentato in cui sono morti anche il marito Giovanni Falcone e le tre persone della scorta, è molto più complessa e interessante del ruolo di semplice compagna del famoso magistrato antimafia, in cui è stata a volte ingabbiata.
La sua vita si è sviluppata in un continuo impegno per la giustizia, attuato con discrezione e rigore, senza clamori e autocelebrazioni, con grande coerenza ed equilibrio.

Leggendo il testo di Sabrina Pisu seguiamo la sua infanzia e adolescenza a Palermo in una famiglia benestante e colta (sia il padre che il fratello furono magistrati), i suoi studi rigorosi, la sua formazione e i rapporti decisivi con la madre e col fratello, dopo la traumatica scomparsa del padre – molto amato e stimato- nel 1969. La decisione di iscriversi a Giurisprudenza è stata ancora per lei, per quei tempi, una scelta impegnativa e controcorrente. Solo nel 1963 era stato abolito il divieto alle donne di iscriversi al concorso in magistratura. Francesca è stata tra le poche donne che si sono laureate nel 1967 (tra l’altro, nel suo caso, con un percorso universitario e una tesi molto brillanti) e tra le pochissime che hanno affrontato e vinto il concorso per entrare in magistratura.

Già da tempo aveva lavorato volontariamente coi ragazzi dei quartieri più disagiati di Palermo, dove la mafia si era installata e aveva prosperato mediante il narcotraffico. La scuola e la cultura democratica potevano offrire ai giovani la possibilità di sottrarsi alla morsa e al ricatto della mafia. Come molte altre ragazze “impegnate” in quegli anni, ha lavorato in doposcuola e in diversi istituti, in dialogo continuo con adolescenti che rischiavano di diventare per le cosche una manovalanza strumentalizzata e una base di reclutamento.

Ha operato come Sostituto procuratore al Tribunale per i minorenni dal 1971 al 1987, mettendo al centro l’interesse dei minori. Francesca seguiva con molto rigore le indagini per accertare i reati, ma nello stesso tempo dialogava intensamente con i giovani detenuti per comprendere le radici dei loro comportamenti e offrire alternative. Allora molte giovani magistrate operavano esclusivamente nell’ambito minorile, ma Francesca dopo sedici anni di attività chiese di essere assegnata alla Corte d’Appello, dove seguì processi per reati contro la Pubblica Amministrazione, come nel processo tenuto sui grandi appalti di Palermo contro Vito Ciancimino.

Era maturato negli anni il suo grande amore per Giovanni Falcone, seguito da una convivenza e dal successivo matrimonio celebrato in forma civile e molto discreta dal sindaco Leoluca Orlando nel 1986, dopo che entrambi avevano ottenuto il divorzio da unioni precedenti. Un matrimonio con totale condivisione di impegni, di intenzioni, di competenze professionali e di rischi mortali, soprattutto durante e dopo il maxi processo contro la mafia.
Non era una condizione in cui potesse maturare con serenità un progetto genitoriale; Francesca ebbe sempre negli anni il rimpianto per figli/ie mai arrivati. Le loro vite erano troppo impegnate e rischiose. Comunque coltivò sempre i suoi rapporti con amici e amiche e coi familiari, e molteplici interessi, pur nella continua emergenza. Lo confermano le numerose testimonianze e i sopralluoghi raccolti da Sabrina Pisu nella sua biografia, che risulta accurata, rigorosa e discreta, in armonia col carattere della protagonista.

Tra l’altro, Francesca Morvillo era attiva nelle commissioni d’ esame per i concorsi di accesso alla magistratura. Rientrava in aereo a Palermo da Roma dopo impegni di questo tipo, accanto a Giovanni Falcone, quando salì con lui e con la scorta sull’auto che fu travolta a Capaci da una tremenda esplosione organizzata da Cosa Nostra. Aveva solo quarantasei anni, era bella, intelligente, colta e molto attiva. La sua vita è stata un esempio di equilibrio e di impegno costante per la democrazia e la giustizia. Il testo di Sabrina Pisu segue con particolare attenzione e trattenuta commozione tutta la biografia e soprattutto il racconto dei suoi ultimi giorni e ore di vita.

Questa biografia è un condensato di esperienze, documenti e testimonianze, raccolte e vagliate con cura, amore e rigore storico. In un sapiente montaggio di fatti e interviste, scorre lungo tutto il testo l’ammirazione per la personalità affine della protagonista, Francesca Morvillo. L’autrice la rivaluta e l’approfondisce, togliendola dall’ombra che spesso ha messo in secondo piano e oscurato le compagne e le mogli di uomini famosi. Ne esce il ritratto di una donna profondamente autentica, indipendente e coerente nelle sue scelte personali e professionali. Per alcuni aspetti possiamo identificarci in lei e nel suo percorso, nonostante le differenze; e insieme all’autrice di questo bel libro, ammirarla e commuoverci.

Vittoria Longoni