di Paola Redaelli.
Già nel 2014, a quattordici anni dall’istituzione in Italia del Giorno della memoria, alla domanda “Secondo lei la giornata del 27 gennaio va mantenuta?”, la storica Anna Foa rispondeva: “Credo che abbia avuto un effetto positivo, ma sia diventata troppo ‘ufficiale’, con un effetto di sovraccarico. Bisognerebbe trovare una chiave per cambiarne le caratteristiche. Anche aprendosi agli altri genocidi del Novecento, cosa che non è sempre ben vista all’interno del mondo ebraico: si teme la banalizzazione della Shoah. Quanto al 27, mio padre Vittorio diceva che non bisognava ricordare un giorno solo”. (“La Repubblica”, 24 gennaio 2014).
Già, perché la memoria è ben diversa dal ricordo e dalla testimonianza: “La memoria ha una storia, gli storici lo hanno scoperto negli ultimi decenni storicizzando e ancorando ai bisogni del tempo e della politica, cioè in sostanza al percorso della storia, le diverse forme che ha assunto nel tempo” (Anna Foa, Le diverse forme della memoria, https://it.gariwo.net/editoriali/le-diverse-tappe-della-memoria-22827.html).
Dunque, la domanda che oggi pone il Giorno della memoria, a mio modo di vedere è: come non dimenticare il maggiore genocidio del Novecento, avvenuto parallelamente a quello dei rom e dei sinti e che è stato preceduto e seguito da altri, alcuni dei quali in atto ancora oggi? Per non parlare delle pulizie etniche, delle violenze estreme, degli stupri di massa, delle persecuzioni, delle azioni volte a cancellare la memoria che intere popolazioni ed etnie hanno di sé allo scopo di distruggerne l’identità ed estrometterle dai territori in cui da secoli risiedono. Cioè, come far tesoro di quell’esperienza? La memoria e la storia del genocidio degli ebrei europei devono servirci non per arricchire un martirologio ma per spingerci ad assumere una responsabilità rispetto a ciò che accade nel nostro tempo.
Prosegue Anna Foa: “La comparazione degli eventi storici e delle memorie è indispensabile. Questo vuole anche dire non fare di tutt’erba un fascio, ma utilizzare il confronto come uno strumento essenziale di conoscenza. Non scambiare ogni violenza con un genocidio, ma riconoscere il genocidio e confrontare fenomeni fra loro diversi, certo, ma confrontabili”.
La consapevolezza e il riconoscimento del genocidio degli ebrei in Europa ha permesso, nel corso dei decenni, importantissime modifiche del diritto internazionale, l’istituzione di tribunali nazionali e internazionali, la definizione stessa del termine “genocidio” (atti commessi con l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso) e ha legittimato definitivamente la denuncia pubblica e il perseguimento dei crimini ad esso connessi.
Ci ha cambiato, è indubbio, ma soprattutto deve cambiare il nostro modo di pensare gli esseri umani e i loro diritti oggi.