Tre storie di donne – la madre, la figlia, la figlia della figlia – ambientate in tempi diversi ma raccontate in simultanea sulla scena teatrale. Sono legate dal filo sottile della scelta di vivere o non vivere, in una sorta di “genetica del dolore”. Ne abbiamo discusso venerdì 10 marzo, in un’intensa serata, con Lisa Ferlazzo Natoli, regista insieme ad Alessandro Ferroni dello spettacolo “Anatomia di un suicidio” (al Piccolo Teatro Grassi fino al 19 marzo 2023*) e con Anna Piletti del Piccolo Teatro. Alcune delle e dei presenti lo avevano visto, altre lo vedranno nei prossimi giorni, stimolate dalla profondità del testo della giovane drammaturga inglese Alice Birch, per la prima volta in Italia grazie a un progetto dal gruppo teatrale lacasadargilla.
“Un argomento scabroso, il suicidio, che in questo testo non si traduce in un universo di desolazione ma rappresenta piuttosto la complessità femminile” ha esordito Piletti.
Protagoniste Carol negli anni Settanta, sua figlia Anna negli anni Novanta e sua nipote Bonnie, proiettata nel futuro prossimo del 2030. La prima è in costante relazione depressiva con l’idea del suicidio, che compirà solo dopo aver cresciuto la figlia fino a vent’anni. La seconda, Anna, vede riaprirsi la ferita dell’eredità materna al momento del parto di Bonnie e arriva a un altro, apparentemente casuale, suicidio. Infine c’è Bonnie, determinata a interrompere la catena con la decisione di farsi sterilizzare, “per principio”.
C’è una prima domanda che si è imposta nella discussione: esiste una genetica del suicidio o del dolore? O il Dna non c’entra? Ciascuno di noi è “magnificamente solo di fronte alle proprie scelte”, ha detto Ferlazzo Natoli. “Ma la psicanalisi ci dice quanto conta la trasmissione di parole e gesti, per esempio nel rapporto madre-figlia”.
Altre domande vengono sollevate, altri temi esplicitati. Anzitutto il confronto con il materno e con la generatività. E ancora la depressione post partum, la solitudine, la relazione con gli uomini, l’anoressia, la cura, il rapporto medico-paziente. Contano molto gli ambienti: l’ospedale, la casa di famiglia che la regista descrive come “quarta protagonista” in scena, il giardino con gli alberi che smetteranno e poi riprenderanno a dare frutti.
“C’è una molteplicità e anche una contraddittorietà nel modo in cui tutte le questioni vengono affrontate” ha detto la regista. “Lo spettacolo, anche per il modo in cui è messo in scena, chiede di abbandonarsi al fatto che non sempre dobbiamo capire. E in ogni caso non consegna risposte”.
La messa in scena può inizialmente disorientare. Le tre protagoniste, insieme ad altri nove attori e attrici, occupano contemporaneamente tre punti del palco in un continuo rimando di voci, di azioni, di relazioni tra i personaggi e tra passato e presente. “Attori e attrici devono costantemente ascoltarsi per entrare in battuta. E ciascuno deve rinunciare a una parte del proprio protagonismo in scena” ha spiegato Ferlazzo Natoli. “Il risultato è un piccolo esperimento di psicologia collettiva possibile solo in un gruppo ben affiatato”.
Grazie dunque a lacasadargilla e un arrivederci al team del Piccolo Teatro, che prosegue un’importante collaborazione con la Casa delle Donne e le sue socie.
Grazia Longoni
* Convenzione speciale a 10 euro per le socie 2023, su prenotazione a eventi@casadonnemilano.it.