di Floriana Lipparini.
Per fare un po’ di chiarezza sulla situazione creata dalla pandemia, e sulle prospettive che ci attendono, venerdì 8 gennaio alle 18 incontriamo Sara Gandini, Group leader “Molecular and Pharmaco- Epidemiology” presso lo IEO di Milano, e Roberta Pelanda, Professor of Immunology & Microbiology, University of Colorado.
Webinar organizzato dalla Casa delle Donne di Milano e dal Laboratorio “ecofemministe e sostenibilità”.
Da circa un anno viviamo in una realtà sconosciuta, quasi una drammatica Second Life scandita dalla perenne narrazione sulla pandemia, che ci raggiunge quotidianamente nelle nostre case vissute ormai come obbligati rifugi.
Ma in questa babele di voci che dovrebbero aiutarci a ragionare e a capire in quale situazione ci troviamo, quali prospettive si aprano, su quali speranze possiamo contare, avviene invece di navigare a vista in mezzo a una grande confusione.
Nelle nostre vite d’improvviso la scienza ha preso corpo attraverso uomini e donne che dagli schermi ci parlano ma, sorpresa, non con una voce sola. Si scopre così che no, la scienza come ogni cosa è in parte opinabile, non esistono verità assolute e in questo caso non ci sono risposte sicure e già pronte.
Scopriamo anche che la scienza è anch’essa una vicenda patriarcale, non perché non siano esistite donne scienziate di grande valore, anzi, ma la storica prevaricazione maschile ha prodotto il prevalere delle presenze maschili che solo negli ultimi tempi si sta modificando. Per la maggior parte sono scienziati maschi a parlarci del Covid-19, e pochissime invece le donne.
Fa differenza che sia una donna e non un uomo a impostare i termini di una ricerca scientifica, a scegliere i parametri, a valutare i risultati? Sono domande difficili, non possiamo qui approfondire questo tema, ma intanto possiamo “rompere” la fortezza maschile scegliendo di metterci in relazione con due scienziate donne cui chiedere come vedano la situazione che stiamo vivendo nel mondo e in Italia, le misure dei governi, i vaccini, i dubbi…
Il punto è chiedersi che tipo di Cura vogliamo, cosa vogliamo ri-sanare, o forse meglio sanare. Non si tratta infatti di tornare a una positiva situazione precedente da ricostituire, da riparare. Non riconoscere la vulnerabilità dei corpi e della vita nel suo insieme è proprio il tragico errore del sistema patriarcale e dei suoi innumerevoli deliri di onnipotenza che hanno provocato questo disastro globale.
Si tratta di cambiare le attuali priorità, e orientare le politiche italiane ed europee verso la transizione ecologica che le forme dell’economia e del lavoro costruite dal pensiero maschile non prevedono affatto. Nel progetto femminista il rispetto dell’ambiente e della vita in ogni sua forma rappresenta invece la necessaria premessa di ogni cambiamento.
In questo modo il concetto di Cura esce dall’asfittico perimetro del sacrificio di sé, e si trasforma in una nuova idea collettiva di società, di politica, di economia.