L’invenzione delle razze per stabilire gerarchie sociali e di potere, imponendole e/o insinuandole come se fossero gerarchie naturali, è andata di pari passo con il dominio maschile sulle donne, con il sessismo che del razzismo è la matrice.
Ma intorno e lontano da noi le soggettività che criticano e sovvertono le forme di dominio sono vive e si esprimono. Con loro facciamo questa collana.
Queste sono alcune frasi che, come gruppo Bibliomediateca della Casa delle Donne di Milano, avete scelto, dalla carta di identità della collana sessismoerazzismo, che compare in ognuno dei 25 libri che dal 2010 abbiamo pubblicato con la casa editrice Ediesse; sessismoerazzismo è una delle collane che fanno riferimento all’Associazione Crs (Centri riforma dello Stato), come compare nelle copertine.
Voglio quindi iniziare da queste frasi.
Parlare di dominio sessista e razzista non significa identificare le vittime, ma identificare appunto le soggettività che criticano e sovvertono queste forme di dominio e dare loro un’opportunità di esprimersi attraverso un libro, un saggio, un racconto.
In Voci di donne migranti, in Incontrarsi. Racconti di donne migranti e native, in Le ragazze di Asmara, nel nuovo libro Kotha. Donne bangladesi nella Roma che cambia sono le donne immigrate a parlarci direttamente, come pure le protagoniste delle primavere arabe attraverso i saggi di chi ha seguito da vicino quel vento che appariva rivoluzionario, un vento di Libeccio, Libeccio d’Oltremare, come recita il titolo del nostro libro. Ma ci parlano anche le Nere e i Neri di Francia, stretti tra l’orgoglio dell’identità e la contestazione di una uguaglianza dei diritti falsa e strumentale, in una Francia che dietro la ‘Repubblica illuminista senza colori’ annulla le differenze per discriminarle ed emarginarle, come ci racconta un saggio di Stefania Vulterini all’interno di un volume che ho curato io stessa, Schengenland.
E squarciano l’invisibilità le Invisibili del libro di Laura Fano, donne latinoamericane che tessono un dialogo immaginario tra quelle immigrate in Italia e quelle rimaste in patria, le guerriere dell’acqua di Cochabamba , le indigene zapatiste, le Madri di Piazza di maggio (candidate al Nobel per la pace).
Ma come dialoghiamo con queste soggettività altre?
E qui cominciamo a toccare alcuni nodi teorici e politici, che stanno alla base della nostra collana.
Il libro che ha inaugurato la nostra collana è quello di Annamaria Rivera, La bella la bestia e l’umano. Sessismo e razzismo, senza escludere lo specismo; a lei ci siamo rivolte per prima perché Annamaria sa affrontare in un modo esemplare, che noi curatrici della collana condividevamo e condividiamo, la annosa questione dell’universalismo dei diritti e del relativismo culturale, sviscerando come l’universalismo dei diritti di stampo neoliberale nasconda una presunta supremazia dell’Occidente etnocentrico e come il relativismo culturale e il multiculturalismo non debbano significare afasia ma debbano indurre “il femminismo a interrogare tutte le tradizioni culturali, a metterle in discussione tutte, a partire da quella occidentale”.
“Nella misura in cui si riconoscono gli altri e le altre si ammette che la loro capacità di formulare delle verità parziali sia equivalente alla nostra e che anch’essi siano portatori di qualche istanza, principio o valore degni di essere universalizzati…per costruire le basi di una possibile convivenza tra eguali e diversi occorre attivare pratiche relazionali, ma anche reciproche, flessibili e miti…”.
“L’universalità risiede in questa decisione di accettare la reciproca relatività di culture diverse, una volta abolito irreversibilmente lo statuto coloniale ” (Frantz Fanon).
Questi i riferimenti sono stati per noi una bussola che ci ha orientato durante tutto il lavoro per la nostra collana, in cui abbiamo affrontato questioni complesse come il rapporto con le donne di religione islamica, di tradizioni familiari che se non si comprendono risultano insostenibili, la controversa questione del velo ecc… Questioni affrontate sempre attraverso la relazione tra soggetti diversi, mai considerando le altre come oggetto, per cui, secondo la vulgata leghista ma non solo, sarebbero da proteggere o liberare dalla barbarie dei loro uomini, delle loro culture. In questo senso cito come titoli e libri esemplari della collana Il protagonismo delle donne in terra d’islam, curato da Biancamaria Scarcia Amoretti e Leyla Karami, il libro di Jolanda Guardi e Anna Vanzan sull’omosessualità nell’islam.
Cito dal prossimo libro di Maria Luisa Boccia, che sta per uscire nella nostra collana, Le parole e i corpi. Scritti femministi, dal paragrafo I veli che indosso:
“Non ho competenza per parlare di femminismo musulmano o arabo. Posso invece parlare dello spiazzamento che mi ha prodotto il confronto con questa realtà. L’ascolto di voci ed esperienze di differenti femministe mi ha aperto domande sul “mio” femminismo”. La prima riflessione attiene proprio all’aggettivo “mio”, o “nostro”. Con i quali nominiamo qualcosa che siamo, a cui apparteniamo: un’identità. Posso definirmi, ed essere identificata come, femminista della differenza…C’è il rischio per me di racchiudermi in quell’identità, in generale di restringere ad un’appartenenza la ricchezza vasta e plurale del femminismo. Le identità sono segnate da e segnano confini. Possono alzare muri. Partire da sé, che è il cuore della mia pratica femminista, non vuol dire riaffermare un’ identità. In questo caso, ribadire il mio femminismo. Al contrario, l’intento è di mettermi in gioco, svelandomi. Prendendo consapevolezza dei “veli” che indosso, grazie al riconoscimento tra donne. Come soggetti pensanti siamo “estranee” a tutte le tradizioni; e però a tutte apparteniamo, in quanto “la donna” è il pensato che ci consegnano, nel quale siamo chiamate ad identificarci. E con il quale non possiamo non fare i conti. Al contrario, dobbiamo necessariamente intrecciare due movimenti: fare e disfare la trama del pensiero, con il filo del vissuto femminile, nel lavoro di presa di coscienza che facciamo tra donne… Per me il femminismo è sempre interpretazione delle nostre storie e tradizioni, dei contesti in cui si sono formate. Il femminismo è ‘il mondo comune delle donne’ (Adrienne Rich)”.
E qui entriamo nel vivo del femminismo, dei femminismi.
Femministe a parole, grovigli da districare è una sorta di dizionario dei grovigli, delle questioni più complicate e contradditorie; è un libro in cui si esprimono e si confrontano il femminismo della differenza, il femminismo dell’intersezionalità, il pensiero postcoloniale, con tutte le loro differenze, che però a lungo andare tanto differenti non sono perché cominciano a parlarsi. Un libro in cui un pensiero libero e spregiudicato, che non stigmatizza il postporno, la prostituzione, financo ‘le veline’, si accompagna alla riflessione intelligente, che vede sex workers, pornostar, escort, veline, essere in bilico tra la gestione delle loro scelte e un neoliberismo pervasivo che strumentalizza la loro libertà nella costruzione della società dei consumi e della pubblicità (su questo cito la bellissima decostruzione compiuta da Specchio delle sue brame, di Laura Corradi) nella società dello spettacolo – basti pensare al filmato Corpo dlle donne di Lorella Zanardo, cui rispondono in Femministe a parole Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi “quelle immagini svelano che non c’è niente dietro quei lustrini, e che quel niente siamo noi”.
Emerge un femminismo che al liberismo del tutto è mercato, tutto è competizione individuale, contrappone la libertà delle donne che è – o meglio ha le potenzialità di essere – riflessione collettiva, libertà come autocoscienza e come scelte consapevoli, un femminismo che non vuole comunque essere un femminismo punitivo di questa stessa libertà (vedi il dibattito sulla gestione per altri che si è sviluppato successivamente con grandi divisioni e lacerazioni, ed è ora ripreso nel prossimo libro di Maria Luisa Boccia).
Un libro, Femministe a parole, che analizza quelli che appaiono come ossimori e paradossi: dalle mamme col fucile, alle colonizzatrici, alle donne di destra e razziste, alla poligamia, alle donne “velate e svelate”; un libro che demitizza il tricolore, la nazione, “che vuole disfare la connessione tra sangue e cittadinanza, tra bianchezza e italianità, tra genere e nazione (Sonia Sabelli).
Ci inoltriamo così nel filone più storiografico, ma si tratta di una storia viva, appassionata, che contesta l’oblio del colonialismo italiano in Africa mentre le piazze, i monumenti, gli obelischi di Roma ce ne parlano (Igiaba Scego, Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città); si tratta di una storia viva che contesta il passato e purtroppo il presente (Stupri di guerra e violenze di genere, a cura di Simona La Rocca), oppure una storia che diventa antropologia e ripropone temi classici ma ancora attuali, come “lo scambio sessuo-economico” tra donne e uomini che ha accomunato e accomuna prostituzione e matrimonio, secondo Paola Tabet (Le dita tagliate).
Assume oggi quasi un valore storico una indagine tutta politica sul ‘femminismo’ delle parlamentari di sinistra che ho condotto con Vittoria Tola nella scorsa legislatura, dal titolo La scomparsa della differenza… nella politica istituzionale, (ora e non a caso in L’androgino tra noi), a conferma di una tendenza sempre più dilagante non tanto di non impegnarsi in Parlamento per rivendicare diritti nuovi o inattesi, quanto di non esprimere nelle istituzioni una visione diversa, femminista, della politica e della società.
C’è un altro filone della collana, che si occupa di violenza maschile contro le donne, anche questo in termini inusuali: Femminismo e processo penale di Ilaria Boiano ci dice come potrebbero cambiare e come cambiano i processi per violenza sessuale se un soggetto imprevisto, le donne, sia in quanto parte civile offesa dal reato sia in quanto giuriste, irrompono nel processo, nella scena del discorso giuridico sottraendo terreno agli stereotipi sessisti e impedendo che la reazione degli uomini e dell’ordinamento possa contrastare l’autonomia e la libertà delle donne stesse.
Sullo stesso tema della violenza maschile contro le donne un altro libro, altrettanto atipico, giunto ormai alla terza edizione: Il lato oscuro degli uomini. Si legge nella quarta:
“Comprendere che la violenza sulle donne è prima di tutto un problema degli uomini significa spostare l’attenzione dalle vittime agli autori. Nel volume vengono censite le esperienze d’avanguardia rivolte agli uomini violenti nel nostro paese, che si svolgono nelle carceri e nei territori, offrendo inoltre un quadro di comparazioni con altre esperienze nazionali e un censimento sull’esperienza dei Centri per uomini maltrattanti”.
Anche Giorgia Serughetti indaga sugli uomini, Gli uomini che pagano le donne. Si legge nella quarta:
“Per capire davvero il fenomeno prostituzione bisogna cominciare a guardarlo non solo dal lato della prostituta ma soprattutto da quello del cliente, senza stigmi sociali. La domanda di sesso a pagamento è crescente e diffusa, non è una patologia di pochi, ma si inserisce nel quadro più ampio della commercializzazione della sessualità, che coinvolge ambiti sempre più estesi del vivere, dal mondo della comunicazione a quello della pubblicità, fino agli scambi sesso-denaro-potere che avvengono nell’ambito del lavoro e della politica”.
E infine, e ancora sugli uomini, per dare anche a loro la possibilità di riflettere e di parlare di sé, i libri di Barbara Mapelli. Ma non solo sugli uomini, sui rapporti tra uomini e donne, sulle varie espressioni della sessualità
Infiniti amori
Quanti sono gli amori possibili? Tendenzialmente infiniti, come le soggettività: amori tra donne e uomini, tra donne e donne, tra uomini e uomini, amori transessuali, amori migranti. Per le donne l’amore è stato il centro della vita, la ricerca di senso nella cura dell’uomo, un «recinto« che ha sancito il dominio maschile. Il femminismo ha poi svelato l’inganno, ma, in favore della libertà sessuale, ha trascurato la straordinaria ambivalenza della narrazione femminile dell’amore. Questo libro cerca di tessere la trama di un nuovo discorso d’amore partendo da riflessioni e storie vere di uomini e donne.
L’androgino tra noi
L’androgino è uno degli archetipi che hanno formato la storia dell’umanità; il libro indaga sulla figurazione attuale di un mito che ha attraversato i secoli e le culture più diverse. Il tema dell’androgino oggi descrive una tendenza che, nelle sue più differenti espressioni, si sta rivelando molto presente. Le autrici e gli autori del libro colgono l’androginia nelle sue esplicite presenze, nella politica, nella moda, nello spettacolo, nei differenti linguaggi culturali, letteratura, arte, cinema e altro ancora, ma anche negli stili di vita, nelle scelte personali, relazionali e culturali. L’androgino è tra noi; le vite di donne e uomini si avvicinano, condividono spazi e tempi in forme impensabili per il passato; si moltiplicano le ricerche di identità sessuali, che rifiutano ogni stabile definizione, propongono l’ambiguità o l’ambivalenza come scelte di vita, mescolano ironicamente i modelli, si mostrano ormai refrattarie a ogni integrazione univoca e binaria.
Al femminismo lesbico da un punto di vista politico e filosofico abbiamo dedicato il libro Le cinque giornate lesbiche, in teoria, e un’analisi più sociologica, Dirsi lesbica, una ricerca con numerose interviste della sociologa francese Natacha Chetcuti che si concentra sulle rappresentazioni e sulle pratiche esistenziali e politiche lesbiche in Francia. Ma la situazione non differisce più di tanto dall’Italia.La cosa più significativa che ne viene fuori è la simmetria che caratterizza il rapporto, il desiderio e il piacere, rendendo le donne che si amano ambedue soggetto.
In sintesi
Diversi filoni di ricerca compongono la collana e si esprimono nei nostri libri: ricerche postcoloniali, storiche, antropologiche, giuridiche e sociologiche, intrecciate e comunicanti; vengono affrontati i temi legati all’immigrazione, al dialogo con altre soggettività, di altri mondi, culture, religioni, e i temi del dibattito in corso, dal rapporto con la sessualità ai possibili nuovi rapporti tra uomini e donne, dalla violenza contro le donne, alla Gpa, alla prostituzione; approfondimenti inediti, che intendono evitare e superare le lacerazioni attuali.
Non si può dimenticare il passato, ma al contempo non si può ripetere il già noto:
siamo attratte dagli approfondimenti inediti, dalle scoperte culturali, dai temi scabrosi e aggrovigliati, perché non ci si può dividere su identità scontate, su rigidità che restano in superficie e non si confrontano, e per confrontarsi bisogna conoscere, approfondire, senza preconcetti.
Far sì che diversi femminismi inizino a parlarsi, a superare barriere, a contaminarsi tra loro; questo è un impegno della collana. Lo dimostra la composizione del Comitato scientifico della collana: Maria Luisa Boccia, Ilaria Boiano, Caterina Botti, Simona La Rocca, Sabrina Marchetti, Lea Melandri (curatrice) , Renata Pepicelli, Isabella Peretti (curatrice), Laura Ronchetti, Igiaba Scego, Valeria Ribeiro Corossaz, Giorgia Serughetti, Stefania Vulterini (curatrice)
Infine, è e sarà una collana femminista aperta al nuovo.
Anche se la collana può sembrare dispersiva per la varietà dei nostri libri e la diversità degli approcci, avremo sempre una bussola in mano, che ci serve per evitare i possibili scogli di femminismi fondamentalisti, repressivi, punitivi, femminismi bianchi e occidentalisti, femminismi chiusi.
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Barbara Mapelli, introducendo l’incontro del 6 giugno scorso alla Casa delle Donne, si è soffermata sul termine “intersezionalità”, una parola significativa oggi molto adoperata nel femminismo, ma che rimanda ad un’altra terminologia, ben più antica, quella messa in luce dal Black Feminism, quella dell’intreccio tra discriminazioni di sesso e di ‘razza’, quella dell’intreccio tra soggettività femministe e soggettività nere, orgogliose di essere donne e di essere nere. Intrecci di discriminazioni e di libere espressioni di sé che si ritrovano anche nei movimenti LGBTQI, dove però Barbara ha colto la mancanza di una riflessione sulla personificazione esclusivamente bianca di questi movimenti; una riflessione quindi tutta da sviluppare.
Anche Eleonora Cirant nel suo intervento ha colto nel dibattito femminista attuale sull’intersezionalità processi di maturazione di fatti storici antichi, dall’intreccio dell’oppressione di sesso e di classe denunciato da Olympe de Gouges, alla Dichiarazione emancipazionista di Seneca Falls ( Usa, 1848) e alle contraddizioni nel rapporto con il movimento abolizionista (della schiavitù); dalla denuncia di Ersilia Majno (fine 800-inizi 900) sulla sottovalutazione nel movimento socialista e nella ‘rivoluzione proletaria’ della ‘questione femminile’, rimandata a un improbabile domani, alla rivoluzione sessuale e femminista nel ’68, alla consapevolezza dell’intreccio di discriminazioni diverse fin dagli anni ’70, fino al dibattito attuale in Non una di meno, e alle più recenti difficoltà di relazione con i movimenti delle donne musulmane, che in alcuni casi non hanno accettato le forme di espressione di Non una di meno stessa.
Fatti storici con una grande rilevanza sull’oggi, quindi: ne ha parlato Anita Sonego, riprendendo alcuni brani del libro di Angela Davis, “Donne, razza e classe”, per ricordare come la collana sessismoerazzismo offre moltissimi strumenti per capire gli intrecci, i grovigli, le contraddizioni del passato e del presente. Di qui, come anche Barbara ed Eleonora, ha sottolineato l’importanza dello studio, dell’approfondimento, della conoscenza, per capire più che per giudicare: “non partiamo dall’astrattezza del giusto e dell’ingiusto” e dalle divisioni che può provocare. Vale per i rapporti con il Black feminism, così come in relazione alle diverse espressioni delle diverse soggettività sessuate presenti nel dibattito femminista.
Relazione di Isabella Peretti
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