Eccoci con tre libri dedicati a vecchiaia, rapporti tra generazioni diverse ed esperienze di maternità nel mondo di oggi. Il bel saggio di saggio di Gabriella Caramore, L’età grande (Garzanti, 2023), è una sinfonia di riflessioni, emozioni, novità sulla parte finale della vita, con inserti poetici, artistici e musicali. Il recente ultimo lavoro di Angela Giannitrapani, Nella casa accanto (Progedit, 2023) è un romanzo profondo e delicato sugli sviluppi delle relazioni tra tre donne: nonna, madre e figlia adolescente.
Tra le tre donne c’è un rispecchiamento di fondo, che nonostante le difficoltà rende in fondo fluidi e reciproci i rapporti. Il saggio dell’attivista Francesca Bubba, Preparati a spingere. Essere madre, oggi, in Italia (Rizzoli, 2023) è un utile manuale, su base autobiografica, sulle difficoltà e le risorse delle donne che decidono oggi di diventare madri, come ha fatto l’autrice con esiti in fondo felici.
Continuate a seguirci sul sito. Potete contattarci all’indirizzo librarsi@casadonnemilano.it
Gabriella Caramore
L’età grande
Garzanti, 2023
Di Gabriella Caramore conoscevamo già alcuni libri e soprattutto la sua attività come conduttrice della trasmissione radiofonica “Uomini e profeti”, su temi filosofici e religiosi in senso ampio, laica e plurale, su Rai 3. L’ha guidata e coordinata dall’inizio, nel 1993, lasciando poi il testimone qualche tempo fa a Felice Cimatti. Abbiamo conosciuto la sua spiritualità intensa e non convenzionale, l’amore per la musica e l’arte, la capacità di dialogare in modo profondo. Questo suo ultimo libro mi pare, in tutti i sensi, il suo capolavoro.
L’argomento è il significato, il sentimento, il ragionamento dell’invecchiare quando ci si approssima alla fine. La terza, o meglio quarta, età è il momento in cui si guarda al percorso della propria vita con maggiore compiutezza. Quindi, età grande per il numero degli anni ma anche per l’ampiezza e la profondità dello sguardo, nonostante gli acciacchi e un diverso ritmo, o nuove intermittenze, della memoria.
Caramore esplora con finezza e apertura al nuovo e all’imprevisto, le emozioni dell’età “grande”, il diverso senso del tempo e dello spazio, le sfumature inedite, gli spazi preziosi che si aprono quando esistono il passato e il presente, ma il futuro è limitato. In modo del tutto naturale, nel testo confluiscono momenti di poesia, di musica e di arte. Un sentimento di generosità e apertura verso le generazioni giovani percorre tutto il libro che, pur accogliendo il dolore, è felicemente privo di acredine, invidie e rancori. E i rimorsi? E i rimpianti? In fondo, nella “età grande” di Caramore sembra prevalere la capacità di tenerli a freno, mediante una più profonda comprensione delle ragioni di ciò che è stato o non è stato.
Il testo si compone come una grande sinfonia di riflessioni ed emozioni. Sembra incredibile che l’analisi, se fatta ascoltando autenticamente i vissuti e i pensieri, riesca ad essere così ampia e così poco convenzionale. Si cita l’antico detto greco, di Mimnermo: “Così penosa fece il dio la vecchiaia”. Ma si aggiunge: “[la vecchiaia] possiede questa unicità. Le altre stagioni passano come in sogno, come se fossero ciascuna una stagione eterna, trasmigrano l’una nell’altra, inconsapevolmente.
La vecchiaia è invece la stagione che davvero – qualora sia consentita lucidità – può pensare se stessa, risignificando tutta la vita”. “È anche per questo, credo, che nell’“età grande” – se si tiene a freno la disillusione, la paura, il rimpianto, e se si è aiutati nel contenere il dolore – si può guardare con maggiore interesse, curiosità, e anche felicità, alle vibrazioni delle altre età dei viventi: l’espansività dell’infanzia, le aspre tortuosità dell’adolescenza, gli esperimenti della giovinezza, la creatività dell’età matura. E si può guardare come a uno straordinario “esperimento” anche ai propri giorni declinanti. E qui si inserisce la citazione della mano piumata di Zbigniew Herbert, che “non sogna più il volo, // ma la caduta // che disegna come il lampo // un profilo di infinità”.
Anzianità o vecchiaia? Fino a poco fa dire “anziano” anziché “vecchio” sembrava più nobile e meno brutale. Oggi invece ci si fa quasi un vanto di parlare di “vecchiaia”, come se si fosse superato un tabù. Si parla di anzianità e di vecchiaia più spesso e con maggiore disinvoltura.
“Non ho mai amato parole come ‘mistero’, ‘enigma’, riferite a ciò che attiene al vivente […] Tuttavia mi accorgo che ora vi faccio ricorso, come a denunciare un’impotenza a capire, che però non vuole essere rinuncia. Ma semmai tentativo di esprimere un bisogno, una necessità, un desiderio di arrivare al cuore della vita. Partendo però dal suo finire, perché é proprio lì, mi sembra, che si annida una verità nascosta.
“Perché noi siamo solo la buccia e la foglia // La grande morte, che ognuno ha in sé, // è il frutto intorno a cui ogni cosa ruota” (Rainer Maria Rilke)”.
Osservando gli ultimi autoritratti di Rembrandt – Autoritratto con mani giunte e Ultimo autoritratto – si nota che non c’è nessuna reticenza a mostrare il decadimento fisico. Ma si nota anche una grande dignità nell’“Ecce homo” dipinto dal grande artista, nel coraggio di guardare e ritrarre ciò che siamo diventati, o diventeremo.
“Che cosa atroce, la vecchiaia, pensò; // spoglia la gente delle sue facoltà, una a una, // ma lascia qualcosa di vivo al centro”. (Virginia Woolf)
Nell’“età grande”, oltre alle tante novità impensabili che si aprono, è ora di pensare alle eredità che si possono trasmettere; e soprattutto alle due più importanti, la “memoria”, lascito inestimabile per chi resta, e il “perdono”, il dono per l’altro, che diventa anche dono per sé. Non è un’assoluzione calata dall’alto sugli errori nostri e altrui, ma un dono reciproco di risanamento dalle ferite che la vita ci infligge, ritrovata vicinanza, parole di ringraziamento per ciò che si è ricevuto e si è dato, necessario superamento del rancore.
Grazie, cara Gabriella Caramore.
Vittoria Longoni
Angela Giannitrapani
Nella casa accanto
Progedit, 2023
Angela Giannitrapani in questo nuovo lavoro dimostra ancora una volta la sua profonda sensibilità psicologica e un’arte di scrittura che fotografa il quotidiano alla ricerca delle meraviglie nascoste nelle sue pieghe. Una nonna anziana, una madre alle prese con carriera e famiglia, una figlia adolescente alla ricerca di se stessa: tre generazioni di donne legate da una magia particolare, quella che scaturisce da una maternità replicata, triplicata e rispecchiata dal ciclo dei ricordi e delle ricorrenze.
Come spesso avviene nelle famiglie “della porta accanto”, la nonna è più indulgente verso le novità e le bizzarrie della nipote; la donna adulta che sta al centro del cerchio ha tutte le responsabilità, i pesi e a volte le asprezze che vengono dal suo triplice carico di lavoro, verso se stessa, verso la madre e verso la ragazza. La nipote non parla in prima persona, ma la sua figura impetuosa e acerba, carica di tutte le mode e i modi, le risorse e le ribellioni degli adolescenti di oggi, emerge vivida dalle parole della genitrice e della nonna.
Per fortuna accanto alla madre c’è un marito medico affettuoso e comprensivo e un ambiente di lavoro che può lasciarle lo spazio e il tempo necessario per vivere tutti i suoi ruoli. Contribuisce anche un certo benessere e c’è una collaboratrice domestica accolta bene nella famiglia italiana, capace di entrare in relazione con tutte loro: le mette in contatto col suo contesto di origine facendo comparire e parlare via cellulare un’altra donna, sua madre che vive dall’altra parte del pianeta.
La trama è apparentemente esile: lo scorrere del tempo in cui si dipanano le triplici relazioni, fino alla scomparsa della nonna e oltre. Ma dalle pagine diaristiche della nonna e della madre, che si affiancano sotto lo sguardo successivo della figlia, nascono particolari indimenticabili e racconti brevi che richiamano le storie, ordinarie e straordinarie, narrate nella precedente raccolta di racconti dell’autrice, Un’altra metà di mondo (Rossini editore 2022), già recensita in questa rubrica.
Solo un paio di piste di lettura: rintracciare le vicende della “botticella di legno antico” e delle foglie e dei rami di pothos, che compaiono nella prima e quarta pagina della bella copertina intrecciati a un braccio.
Cura reciproca e cura di sé riescono infine ad armonizzarsi nella tela degli incontri, anche perché ciascuna delle tre donne ha molti motivi per riconoscersi nell’altra.
Una narrazione in fondo serena e ottimistica, dove le incomprensioni e i guai di tutti i giorni – compreso quello irrimediabile del deterioramento senile e della morte – trovano una loro composizione e il senso della vita si arricchisce della continuità generazionale e genetica delle tre donne. Troppa serenità? Se leggiamo bene, il percorso della giovane figlia narrato nel romanzo è fatto anche di problemi e ostacoli, soprattutto con la madre. Molte di noi possono aver incontrato anche fasi più spinose in questi rapporti. Ma tra le notizie atroci che ci arrivano dal nostro mondo ancora patriarcale, violento e pieno di guerre e femminicidi, narrazioni come queste si leggono con sollievo e possono anche dare spunti e consigli preziosi di comportamento.
È una vera fortuna poter vivere a fondo queste relazioni intrecciate, anche grazie alla vicinanza fisica e a un contesto che accoglie e favorisce la circolazione delle esperienze. E grazie alla sensibilità che circola tra le tre donne, riflesso della profonda umanità e gentilezza dell’autrice e dei frutti del femminismo.
Il romanzo aveva già vinto, da inedito, il terzo premio del concorso Clara Sereni 2021 ed era arrivato finalista al premio Città di Como 2022. Ora ha trovato una veste editoriale all’altezza della sua qualità e gli auguriamo una felice e intensa circolazione tra nuove lettrici e lettori.
Vittoria Longoni
Francesca Bubba
Preparati a spingere. Essere madre, oggi, in Italia
Rizzoli, 2023
L’autrice è un’attivista sui temi della maternità, dell’autodeterminazione delle donne, della violenza ostetrica. Conduce indagini sui lati oscuri della maternità. Ed è anche madre felice di un bambino, come ci confida soprattutto nell’ultimo capitolo del libro. Anche se ha alle spalle un’esperienza tremenda di violenza maschile e di prevaricazione, che ha reso necessario un aborto. E poi un cambio completo di vita e di ambiente.
Molti sono gli obiettivi di questo libro. Liberare la maternità e l’aborto dagli stereotipi che avvolgono ancora queste esperienze. Denunciare le forme di violenza contro le donne che si realizzano nei parti, negli aborti, nelle visite ginecologiche, nei rapporti con medici e istituzioni: la violenza ostetrica può portare alla morte. Demolire la retorica del “sacrificio materno”.
Trovare parole vere per raccontare le fatiche, il dolore, le insonnie, gli ostacoli da superare lungo le vie complicate della maternità. Denunciare il luogo comune che vede nella sofferenza materna qualcosa di necessario perché si stabilisca un rapporto intenso con la creatura messa al mondo. Rimuovere i pregiudizi sulla partoanalgesia. Far comprendere tutta l’intensità del lavoro domestico e di cura, che non viene riconosciuto né retribuito. Narrare la gioia immensa della nascita di un figlio nella vita di una donna che ha cercato e trovato l’autenticità dei suoi desideri, nei meandri tra maternità e lavoro, tra partner pessimi e positivi, tra retorica e realtà.
La narrazione si sviluppa in senso autobiografico, intervallata da capitoli dedicati a specifici argomenti che vengono trattati con indagini e denunce.
“Preparati a spingere” è quello che le ostetriche dicono alle partorienti. La frase assume anche un senso più ampio: chi inizia il percorso della maternità deve sapere quanto oggi è ricco di ostacoli, perché il nostro mondo e la nostra cultura non sono fatti per accogliere una mamma e il suo bambino. Nonostante le idealizzazioni del ruolo materno, chi si prepara alla maternità deve saper lottare. Anche i servizi, i treni, gli aerei, gli orari dei mezzi pubblici non tengono conto delle necessità delle madri e tendono a ricacciarle dentro le case.
“Dopo aver avuto un figlio, il ritrovarsi, o meno, dipende da una lunga serie di fattori, tra cui il privilegio, di cui spesso non si tiene conto. Le donne che hanno accesso ad asili nido gratuiti hanno una possibilità di raggiungere un equilibrio nettamente superiore rispetto a quelle che ricorrono a un part-time involontario perché uniche depositarie del “lavoro di cura” […]. Spesso si pensa a una madre casalinga come a qualcuno che “non fa niente”. Il suo lavoro non vale niente: infatti non esiste un reddito, una pensione, né una definizione per ciò che svolge. Invece il lavoro domestico – è così che lo si deve definire – esiste e si vede, ma è reso invisibile da una società che lo dà per scontato…
La media delle ore di sonno effettive nei primi tre anni di genitorialità si aggira intorno alle quattro ore e mezzo a notte. Desistere dal crollare addormentati, nei periodi di privazione, può essere un’impresa impossibile; la colpa è del sistema che dà per scontato uno sforzo sovrumano come questo. Le mamme non dormono di notte e la società esige che siano sempre più sveglie di giorno, con la pretesa che tornino presto ad essere le persone di prima, in più arricchite dalla genitorialità”.
Fa piacere trovare nel testo un elenco preciso e utile di fatti che possono essere indizio di violenza ostetrica, e di consigli su come si può reagire anche immediatamente. Tra l’altro, l’autrice si sta impegnando per una proposta di legge contro la violenza ostetrica, sostenuta dal movimento #ANCHEAME.
Il parto dell’autrice, nella sua fase finale e con analgesia, è stato un’esperienza tanto bella da non poter neppure essere raccontata. Però poi sono venuti i disturbi successivi, dovuti all’assenza di cure nel post-parto: un blocco sessuale prolungato, una forma di vulvodinia che è stata diagnosticata troppo tardi. E la difficoltà di riconoscere e di fare i conti coi necessari cambiamenti che l’esperienza del parto porta con sé, nel corpo e nella mente.
Il libro raccoglie elementi concreti, esperienze e segnalazioni che arrivano ogni giorno all’autrice anche per email o in messaggi privati. Per questo ha un approccio realistico ed equilibrato anche per quanto riguarda i rapporti col personale sanitario e coi farmaci, i rischi del parto in casa, l’allattamento troppo prolungato, le rappresentazioni idilliache di uno svolgimento tutto “naturale” e quasi magico dei compiti materni, le ambiguità pseudofemministe di gruppi vagamente esoterici, gli eccessi nella presentazione delle immagini dei bambini sui social.
Insomma un’utile guida alla maternità per giovani donne di oggi, incoraggiate dalla felicità dichiarata dell’autrice.
Vittoria Longoni