Una giornata di sciopero delle donne ha un evidente significato forte:
-sovvertire un ordine che, dato come “naturale”, ha permesso di protrarre per secoli il dominio di un sesso sull’altro, la consegna delle donne al ruolo di madri, molgi, filie, sorelle “di”, custodi della famiglia e della continuità della specie;
-la cura e il lavoro domestico possono finalmente essere visti per quello che sono sempre state: “un grande aggregato dell’economia” (Picchio), il sostegno materiale, psicologico, affettivo all’impegno “civile” dell’uomo.
“Per secoli –come scrive Virginia Woolf- le donne sono state gli specchi magici in cui si rifletteva la figura dell’uomo raddoppiata. Senza questa facoltà, la terra probabilmente sarebbe ancora palude e giungla”. Questi specchi sono stati “indispensabili ad ogni azione violenta ed eroica”;
-prendere coscienza che “vivere per l’altro e attraverso l’altro” è stata la conseguenza dell’espropriazione di esistenza propria che le donne hanno subito, asservimento dei loro corpi e dei loro pensieri, cancellazione del loro tempo, confuso con l’immobilità delle leggi naturali;
-affermare visibilmente, con migliaia di presenze nelle strade e nelle piazze, che le “porte di casa”, le solitudini “private”, si aprono solo attraverso la costruzione di una socialità inedita tra donne, fatta di amicizia, amore, azione, intelligenza di sé e del mondo sottratta a modelli imposti e interiorizzati;
-portare allo scoperto la cultura e le pratiche politiche che fanno del femminismo la “rivoluzione più lunga”, ma anche la più “radicale” nello svelamento del sessismo -eterosessismo, superiorità maschile, ecc.- come fondamento di tutte le forme di dominio, servitù, violenza, disuguaglianza, che la storia ha conosciuto finora.
Denunciare la violenza maschile contro le donne in tutte le sue manifestazioni, manifeste o invisibili, non deve impedirci di fare dell’8 marzo 2017 una giornata di lotta “creativa”.
Lea Melandri