di Marilena Salvarezza e Angela Giannitrapani.

Vivian Lamarque arriva alla Casa da sola, il 16 febbraio 2023 alle 17:30. Appena varcata la soglia si guarda in giro con quella espressione di felice meraviglia che caratterizza il suo viso e con la quale sembra guardare al mondo. Ma cerca qualcosa, lo si capisce subito. Volge lo sguardo ai muri, al bancone del bar, alle finestre, al grande spazio e inaspettatamente sembra disorientata ma continua a cercare.

Le andiamo incontro, la salutiamo, risponde con calore continuando ad alta voce i pensieri che evidentemente le vorticavano in mente all’arrivo e dice che sì, è questa la sua scuola!

Ma dov’è il lungo corridoio e il grande portone da dove ogni mattina nel biennio delle sue superiori entrava nella ‘sua’ Manzoni?

Ci spiega che in quegli anni la Manzoni aveva sede nell’edificio. Tira subito fuori dalla borsa una bellissima foto in bianco e nero. La tradizionale immagine di una classe in posa per la foto scolastica. Lei con le sue compagne agli inizi degli anni Sessanta.  La mostra con orgoglio e ancora con meraviglia, come a dire: guardate cosa vi ho portato e ora mi dovete aiutare a ricostruire.

LamarqueLe illustriamo i cambiamenti, quello che è stato abbattuto, gli spazi nuovi ma lei, svelta, vuole avviarsi all’autorevole portone d’ingresso. Con un gridolino di entusiasmo per averlo davanti tale e quale si aggira nell’androne principale, poi allo scalone che porta al piano di sopra e infine al giardino, anticipando ogni spazio, indovinandoli tutti. In giardino non resiste e vuole le si faccia una foto.

La accontentiamo con profondo piacere, avvolte nella sua stessa emozione. Ripercorriamo il corridoio indietro per tornare allo Spazio da Vivere, ma il percorso è di tanto in tanto interrotto da chi la conosce ed è venuta a salutarla, da qualcuna di quelle bambine della foto che le chiedono se le riconosce. Lei, sì si sei tu!! Oddio, aiutami a ricordare il tuo nome…

E’ questo l’inaspettato prologo dell’incontro di poesia con Vivian Lamarque “L’amore da vecchia e altre poesie”. Non poteva essere migliore, mantenendo la promessa di ciò che seguirà: un incontro pieno di calore e coinvolgimento proprio perché il pubblico sente verità nelle parole di Lamarque.

Con la spontaneità che la contraddistingue, propria dei bambini e dei saggi, Vivian ci offre le sue poesie, come perle a piene mani, che ci propongono una costante epifania del mondo e di ciò che contiene. E colpisce questa identificazione tra ciò che scrive e recita e ciò che lei è, come se la sua poesia scaturisse senza filtri da un luogo originario dove le età della vita e le esperienze si sedimentano in immagini e versi.

Vivian che rappresenta una delle figure più significative della poesia di donne che oggi si impone sulla scena italiana, attribuisce un valore “riparativo” al lavoro poetico (la poesia fa “sanguinare un po’ meno”: sia pure con tanti forse e con un ritmo lento, la poesia potrà un poco cambiare il mondo. Così viene proposto il valore soggettivo e oggettivo del fare poetico. Un attraversamento della propria autobiografia che però viene trascesa in una dimensione in cui tutte e tutti ci riconosciamo.

Solo la poeta o il poeta trovano la giusta combinazione di parole, ritmo e immagini, ma i contenuti dei versi sono in tutti e vederli espressi è un atto di riconoscimento e salvezza. La poesia infatti è antica quanto l’espressione umana, ha la condensazione propria di certi sogni, riesce a cogliere i tempi della vita e altre realtà “senza nome” oltre quella apparente.

Così Vivian propone un mondo quotidiano e sommesso, dove piante, animali, affetti, sofferenze e gioie si intrecciano e compongono una tessitura “animata” (ritornano spesso le metafore dei fili e del ricamo). Il quotidiano come già in altre poete e poeti che Vivian ama (Dickinson, Szymborska, Penna, Caproni) diventa letteratura (cioè capacità di parlare a molte/i) e il letterario si nutre del quotidiano.

Nell’ultimo libro, “L’amore da vecchia” (Mondadori, 2022), tornano in sintesi essenziale memoria e dimenticanza, generazioni e tempi della vita, consapevolezza della mortalità ma anche comprensione di un disegno più vasto nell’accettazione di un continuo processo metamorfico. L’amore si dispiega in tante forme possibili: se diventa meno centrale, anche se non sparito, l’innamoramento esclusivo per un altro essere umano, può includere tutte le forme in cui può manifestarsi anche o soprattutto da “Vecchi”, senza usare placebo verbali (terza età e simili) alberi e animali, “cose” (i treni) familiari (figlia e nipoti) e amici, piaceri della mente e del cuore (cinema e poesia).

Si può essere vecchi salvaguardando lo stupore e l’auroralità infantili, senza essere travolti da noia e ripetizione (ho un’infanzia in corso dal 1946 ci dice Vivian). Ma resta chiaro il senso del limite e l’inevitabilità della morte chiamata con il suo nome, non con perifrasi come ormai si usa per verità che si vuole rimuovere (ci ha lasciato, se ne è andato, come se ci fosse una specie di volontarietà nel morire). Tuttavia queste “verità” non edulcorate sono espresse con un linguaggio fresco, leggero, ironico come solo Lamarque sa fare pur senza perdere in profondità e empatia. Forse è proprio questa pietas gentile, questo compartecipare con l’umanità delle lettrici e dei lettori che ha incantato il pubblico presente.

foto @Livia Sismondi