di Grazia Longoni.
La proposta viene da una voce autorevole, quella di Susanna Camusso, già segretaria nazionale della Cgil e ora responsabile per le Politiche di genere del più grande sindacato italiano: creare una rete tra tutte le Case delle Donne d’Italia per essere più forti e lanciare, tra gli altri, l’obiettivo di un unico strumento legislativo che regoli gli spazi attuali e futuri nei quali le Case hanno sede.
Camusso interviene in un affollato incontro online del 26 marzo scorso sulla pagina Facebook di BelleCiao, profilo collettivo delle donne della Cgil. Titolo: Case delle Donne, patrimonio di conquiste e diritti collettivi. Sono intervenute le rappresentanti delle Case delle Donne di Roma (sia la Casa Internazionale sia Lucha y Siesta), di Milano, Torino, Lecce, Pesaro, Pisa, l’Aquila oltre a donne di Como, Livorno, Genova, Padova, Catania, Messina, Arezzo, Firenze, Perugia, Udine, Bologna e altre città. Sarebbero state molte di più se il tempo lo avesse consentito. Ma ci siamo lasciate con l’impegno a continuare il confronto e la relazione tra noi.
E’ stato emozionante per molte di noi sentire un coro unanime di parole e di pensieri sul valore delle Case delle Donne come luoghi di libertà e di autonomia, nonostante le tante differenze di storie e di esperienze. C’erano Case come quelle di Roma e di Torino, nate da occupazioni negli anni Settanta. Altre, come la nostra di Milano, realizzate pochi anni fa attraverso una peculiare pratica di democrazia partecipata. Altre ancora conquistate in anni diversi sulla base di lotte e mobilitazioni delle donne, come a Lecce, a Pesaro, all’Aquila. Diverse anche le modalità di assegnazione dei luoghi fisici, a volte mutate nel tempo: affitto contenuto (Torino, oggi), comodato d’uso con o senza bando (Milano nei primi sei anni, Pisa, L’Aquila, Lecce), assegnazione su delibera senza bando (Pesaro), utilizzo di leggi regionali e della legge per il terzo settore (Pisa, oggi), patti di collaborazione con i Comuni (Ravenna, Padova).
Insomma, un panorama variegato in cui si ritrovano però vicende comuni. La tendenza negli ultimi anni di alcune amministrazioni a “mettere a valore” gli immobili. La chiusura di molti interlocutori alle richieste delle donne di avere spazi di autonomia e non di servizio. Le turbolenze dovute ai cambiamenti elettorali. Come ha detto Susanna Camusso “il fatto che tutte le Case siano in balia di problemi di bilancio, di regolamenti, di cambi di colore politico delle amministrazioni ci deve portare a ragionare su punti di certezza. Ben venga l’uso anche di alcune leggi esistenti, possiamo utilizzare con pragmatismo tutte le strade, ma se abbiamo un orizzonte comune dobbiamo ottenere qualcosa di più”.
La proposta di una legge unica nazionale, che riconosca la necessità dei luoghi delle donne come “beni comuni” delle città e che conceda gli immobili senza bandi e senza oneri economici, è una soluzione praticabile, soprattutto adesso che il Parlamento italiano, nella Legge di Bilancio del 31 dicembre 2020, prevede il “comodato d’uso” di immobili pubblici per le associazioni che promuovono “la libertà femminile e di genere”.
Anche il clima politico che si respira nelle Case delle Donne è favorevole. Come molte hanno ricordato, la drammatica esperienza della pandemia ha rimesso in moto la riflessione e l’energia delle donne nel contestare il modello patriarcale che ci ha portato in questa situazione. Esperienze come le assemblee della Magnolia a Roma, che riconoscendo la pluralità e le differenze hanno elaborato posizioni comuni, come il manifesto “Noi siamo la cura”, devono essere proseguite.
Come ha annunciato Maura Cossutta, presidente della Casa di Roma: “Come Casa Internazionale chiamiamo tutte a un incontro nazionale per una posizione comune sui luoghi ma anche sulla politica delle donne. Senza questa non difenderemo neanche i luoghi”.